Proponiamo in anteprima l’introduzione a “10 gay che salvano l’Italia oggi”, il libro di Daniela Gambino (Laurana editore) che sarà presentato martedì 28 giugno al Chiaja Hotel De Charme nel corso dell’appuntamento conclusivo di Poetè – ciclo di letture poetiche (e non solo) infuse di teina ed in occasione del 42° anniversario dei moti di Stonewall.

la copertina del  libroChiedimi se andrà meglio
di Matteo B. Bianchi

È un paese strano, il nostro. Un paese fondato su valori che gli stessi rappresentanti delle istituzioni con- traddicono nella pratica. Difficile per esempio riscontrare tra i più accesi sostenitori della famiglia onorevoli che non abbiano alle spalle matrimoni multipli, figli da madri diverse, amanti più o meno note, e senza per forza arrivare allo zenit pirotecnico di un presidente del Consiglio che sostiene contemporaneamente i Family Day e un harem di private puttane. Di fronte a tanta disinvoltura, etica e morale, verrebbe da immaginarsi un paese assai liberale e permissivo sulle questioni della vita privata. Invece è proprio qui il nucleo della stranezza: basta citare l’espressione “persone dello stesso sesso” perché da ogni dove si elevino bandiere, scudi e stendardi, staccionate, armature e spade sguainate: non sia mai che vengano riconosciuti diritti a una coppia stabile, serena, duratura, ma dal sesso non alternato. È la carta Imprevisti del nostro Monopoli quotidiano: è il Vai in prigione senza passare dal via. Non hai fatto niente di male, ma non importa. Tu questi diritti, in questo paese, non solo non li puoi avere, ma neanche nominare. Fine della discussione.

Quello che mi risulta difficile da capire è come anche la gente non omosessuale possa sopportare questo stato di cose. Negare a una parte di popolazione alcuni diritti fondamentali che ad altri sono garantiti ha un nome: razzismo. Alla stregua di vietare l’uso di alcuni autobus o panchine ai cittadini di colore in Sudafrica ai tempi dell’apartheid. Io non ci vedo alcuna differenza e mi scandalizza ancor di più non tanto il politico trombone che difende posizioni arcaiche e una doppia morale per logiche di convenienza e di partito, quanto la gente comune che sa e tace, dunque acconsente. Mentre il resto dell’Europa è già passato oltre, lasciandoci come imbarazzante fanalino di coda sull’autostrada spianata della civiltà e dell’integrazione.

Quando ho pubblicato il mio primo romanzo, Generations of love, storia autobiografica di un’adolescenza gay in un piccolo paese di provincia, sono stato inondato di mail e lettere: centinaia di lettori si erano riconosciuti nelle mie parole e sentivano l’urgenza di comunicarmelo. Alcuni di loro volevano anche farmi sapere che il libro era stato uno strumento di conforto: leggere la mia vicenda li aveva fatti sentire meno soli, aveva indotto coraggio e speranza. La circostanza sconvolgente però era che talvolta concludevano queste mail con richieste affrante: “Ti prego, non dire a nessuno che ti ho scritto”. Questa preghiera accorata mi lasciava senza parole. In primo luogo per l’ingenuità (a chi avrei potuto dirlo? E perché avrei dovuto farlo?). Ma in seconda battuta, e soprattutto, per l’abisso di confusione emotiva che lasciava intravedere: questi ragazzi erano talmente terrorizzati dalla propria condizione che non erano neanche più in grado di identificare quali fossero i nemici e quali gli alleati. Mi scrivevano per dirmi grazie e contemporaneamente temevano che io li tradissi. Non importa poi se si firmavano con un nickname qualsiasi e che sarebbe stato difficilissimo risalire alla loro identità, anche se avessi voluto. Il solo avermi scritto li faceva sentire esposti, fragili, attaccabili. Anche da una persona che dichiaravano di ammirare.

Pensandoci bene però, potevo dar loro torto? In un paese in cui il cambiare posizione, schieramento e ideologia è all’ordine del giorno? Nel quale è molto più facile (e praticato) condannare che fornire il buon esempio, seppur minimo?

Negli Stati Uniti in questi ultimi mesi è esploso un fenomeno video che dal canale YouTube si è poi tramutato in un portale internet e in un libro, dal titolo It gets better [tr. it. Migliorerà]. Il tutto è cominciato in modo molto semplice e artigianale: lo scrittore Dan Savage e il suo compagno, il dj Terry Miller, hanno registrato un filmato nel quale cercavano di trasmettere un messaggio positivo agli adolescenti gay in difficoltà perché derisi, umiliati, picchiati e seviziati dai loro stessi compagni di scuola. Il video era nato per contrastare la recente ondata di suicidi tra ragazzi omosessuali vittime di bullismo. Savage e Miller, con parole semplici e dirette, spiegavano agli adolescenti in ascolto che anche loro avevano subìto simili angherie, ma crescendo avevano superato questo periodo difficile, si erano fatti forti, avevano trovato amici, amore e felicità. Spiegavano che togliersi la vita per gli insulti degli altri era uno spreco assurdo e promettevano a questi ragazzi: vedrete, andrà meglio. Il video è diventato immediatamente un virale e ha scatenato una tempesta mediatica. In breve migliaia di persone, tra star dello spettacolo e gente comune, hanno seguito l’esempio dei due e postato il loro video sulla rete. E anche la politica si è interessata. Hilary Clinton e Barack Obama hanno voluto partecipare alla campagna spontanea con un loro messaggio. Le massime cariche dello Stato si sono esposte a favore della causa.
Provare a immaginare che succeda qualcosa di simile in Italia suona come una provocazione, se non come pura fantascienza. Da noi attori, cantanti, stilisti e primi ballerini ancora si sperticano in dichiarazioni alla stampa per negare la propria omosessualità. Da noi i parlamentari rilasciano dichiarazioni del tenore di “meglio fascista che frocio”. Pensare che proprio da queste categorie possano venire testimonianze video spontanee per supportare gli adolescenti omosessuali in difficoltà è quantomeno utopistico.

In queste condizioni credo che per un ragazzo omosessuale, così come per una ragazza lesbica o un transessuale, sia necessario, anzi, indispensabile riuscire a individuare dei modelli positivi. Avere almeno dei punti di riferimento. Questo libro cerca di rispondere a tale bisogno.

Daniela Gambino ha scritto un testo strano, inclassificabile, che è tanto sociale quanto personale: il ritratto di dieci personaggi che per la cultura e la comunità GLBT italiana hanno fatto e continuano a fare qualcosa, filtrato dallo sguardo appassionato e focoso di una scrittrice e giornalista atipica. Queste figure sono raccontate alla sua maniera, mischiando cenni biografici e considerazioni personali. Quella che ne viene fuori è una geografia culturale frammentata ma vivace: dieci importanti esempi, dieci esperienze sin- golari di sofferenza e di autoaffermazione, di lotta e di coraggio, di sfrontatezza e di sincerità.

Perché da qualche parte anche noi dobbiamo pur cominciare a sperare. E credo che il tentativo di Da- niela Gambino sia quello di suggerirci di cominciare da loro, di cominciare da qui.

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