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Abbiamo intervistato l’attore e regista Giuseppe Miale di Mauro che dal 23 al 28 febbraio porterà in scena “12 baci sulla bocca” alla Galleria Toledo di Napoli

giuseppe miale di mauro (foto: carmine luino)In “12 baci sulla bocca” c’è chi accetta dolorosamente la propria omosessualità, chi la vive conflittualmente e chi la condanna duramente. Il tutto sullo sfondo di una realtà degradata e ‘criminale’…

“12 baci” non è una storia di omofobia e basta, ma piuttosto è una storia d’amore interrotta. Interrotta dalla violenza e dalla cecità di un mondo che non vuole guardare il mondo, ma si limita a guardare non più lontano dalla punta del proprio naso. Il fatto che i due protagonisti di questa storia siano due uomini è solo un dettaglio. Penso alle donne lapidate in piazza, a quelle destinate a sposare uomini che non conoscono e non desiderano, e penso a uomini e donne che non possono vivere in serenità la loro libertà di essere ciò che sentono di essere. Ecco, “12 baci” è una storia di libertà mancata…

Lo spettacolo è una piccola produzione che ha la sua forza in un copione solido e nella bravura degli attori. La messa in scena è spoglia: una scelta prettamente stilistica o anche dettata da necessità pratiche?

E’ sicuramente una scelta precisa. Il teatro ha il potere di lasciare spazio all’immaginazione, e la sua forza di credibilità è impressionante. Poi mi piaceva inserire questa storia in uno spazio vuoto, in cui le parole del testo e la recitazione degli attori servissero a riempire anche simbolicamente il vuoto della storia raccontata.

Se l’ambientazione è lasciata alla sensibilità del pubblico, costumi e musiche rendono il contesto storico ben identificabile. Sembra che la sua regia voglia porre l’attenzione su questo aspetto…

Quando abbiamo deciso di mettere in scena “12 baci” eravamo in un momento, che purtroppo non sembra finire, in cui le notizie di cronaca ci raccontavano violenti atti di omofobia. Da qualche anno proviamo attraverso il teatro a raccontare ciò che ci circonda, a mettere a nudo le falle di una società che troppo spesso viene presa in contropiede. Ma stavolta abbiamo deciso di raccontare il presente partendo dal passato. Molto spesso ho sentito dire che il figlio assomiglia al padre, che si raccoglie quello che si semina. Allora, ecco la scelta di raccontare la violenza degli anni di piombo, dei fascisti picchiatori e delle bombe estremiste. Ecco la scelta di racchiudere la nostra piccola storia di provincia in un 1975 di sangue e morte. E poi mi piaceva raccontare l’amore segreto di questi due giovani, che non possono farsi vedere, che devono difendersi dalle maldicenze popolari, perché essere “ricchione” in un paesino della provincia napoletana nel 1975 era come segnarsi a vita. E, mi chiedo, oggi dopo 35 anni quanto questo figlio non assomigli più a suo padre?

La quotidianità in “12 baci” è affidata a dialoghi fortemente realistici. A questi si alternano momenti ‘teatrali’ come nelle scene d’amore e di violenza… a cosa è dovuto questo diverso trattamento?

Quando ho letto il testo di Mario mi ha colpito la scelta di scrivere dei dialoghi assolutamente quotidiani inseriti in una struttura drammaturgica senza connotazioni precise, con vari ambientazioni e luoghi in cui la storia prendeva forma e si sviluppava. Ho deciso quindi di lavorare anch’io in contrasto, conservando la verità dei dialoghi inserendoli in contesti simbolici. La fortuna in questo caso è dettata dalla grande sinergia che lega me e Mario e che ci permette di manipolare il testo affinché diventi materia teatrale, facendo sì che le parole scritte diventino parole “parlate”, vive. Poi avendo la fortuna di lavorare con tre attori straordinari, molto spesso sono stato guidato dalle loro sensibilità a seguire percorsi che portavano nella direzione in cui si è poi sviluppata la messa in scena dello spettacolo. Infine,non credo che ci sia stato un diverso trattamento, ma che piuttosto tutto si sia magicamente amalgamato creando quello che è “12 baci sulla bocca”.

In Italia chi si occupa di teatro civile spesso colma una lacuna istituzionale. Lo Stato “ringrazia” tagliando i fondi allo spettacolo… non trova che sia sempre più “eroico” fare teatro in questo paese?

No, io credo che gli eroi in questo paese siano altri. Ciò non toglie che fare teatro sia una delle attività culturali più difficili da fare in questo paese. Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno tagliato i fondi al teatro. Le colpe di questa difficoltà vanno divise in parti uguali tra vittime e carnefici, il teatro spesso parla a se stesso, non vuole dialogare con il pubblico. La gente di teatro deve fare un esame di coscienza per capire in che modo ha fatto si che il pubblico si sia allontanato da questa forma d’arte che resta tra le più emozionanti. Fare teatro civile poi è ancora più complicato, perché si lavora non solo sulle emozioni ma anche sulla conoscenza, la volontà di capire ed anche indignarsi se è il caso…


Giuseppe Miale di Mauro: diplomatosi come attore all’accademia teatrale del Teatro Bellini, tra le sue interpretazioni “Guappo di cartone” (di Viviani, regia di Carlo Cerciello) e “Allegretto…perbene ma non troppo” (di Ugo Chiti, regia di Enrico M. La Manna). E’ tra gli interpreti principali di “Gomorra” (regia di Mario Gelardi).

E’ stato tra gli autori selezionati per il Premio Extra Candoni 2005. Insieme a Mario Gelardi ha scritto “Fango” (sulla tragedia di Sarno del 1998), ha vinto il Premio Ustica per il teatro 2005 per “Quattro”, è stato finalista del premio Riccione 2005 con “Becchini” e del Premio Fersen per la drammaturgia con “La vita come prima”.

foto: carmine luino

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