locandina dell’incontroTommaso Tuzzoli e tutti gli attori di Risveglio di Primavera incontreranno il pubblico insieme a Stefano de Stefano (Corriere del Mezzogorno) mercoledì 11 novembre alle 23.00 al Penguin Café (in via Santa Lucia 88 a Napoli).

Abbiamo incontrato il regista Tommaso Tuzzoli in scena fino al 15 novembre al Nuovo Teatro Nuovo con “Risveglio di Primavera” di Frank Wedekind

Partiamo subito dal testo, che è piuttosto impegnativo. Perché hai deciso di portare sul palco quest’opera?

Si, il testo è molto impegnativo, scritto a fine ‘800 e messo in scena nel 1906 quando fu censurato per oscenità, nasceva in un periodo molto particolare. Wedekind era un intellettuale che si interessava al rapporto tra genitori e figli ed all’educazione che davano a questi i genitori.

In un altro lavoro, “Mine-Haha”, parla proprio dei collegi tedeschi, in cui i bambini venivano educati alle arti. Non dimentichiamo che i quattordicenni dell’epoca sarebbero stati la classe dirigente del nazionalsocialismo. Lui parla di vestiti rosa per le femmine e per i maschi calze nere come la notte.

Aveva preannunciato l’oscurità nella quale sarebbe nato il nostro secolo dopo. In più è uno che lavora sull’anti-eroe, come Joyce, sono antieroi i protagonisti, sia Melchior che Moritz, che non sceglie la vita ma un lucido suicidio.

Nell’800 il testo fu censurato perché ritenuto per l’epoca scabroso. Nel ’71, quando fu fatto con la Kustermann, aveva anche un altro significato e rappresentava anche un viaggio nella conoscenza di questo gruppo di adolescenti.

Il testo originario prevede 5 atti e 34 attori. Nel nostro lavoro gli attori sono otto e l’opera è divisa in tre atti, quindi l’operazione è grossa dal punto di vista formale. La cosa che a me interessava era raccontare quella separazione che viviamo in certo senso noi, che siamo la generazione che è cresciuta con la pubblicità dell’Aids che scopre il sesso anche attraverso internet che fatica ad avere un futuro.

Nel mio lavoro parlo proprio dei trentenni di adesso, ribaltando l’ottica del testo originale dai 14enni ai trentenni, cercando di far diventare i personaggi delle funzioni, ognuno portatore di qualcosa: un personaggio femminile diventa portatrice di una violenza sulle donne ma cerca la liberazione attraverso la religione, Ilse è quella che fugge e ricorre all’arte per evadere, Hans è libero ma cercherà un compromesso, un altro personaggio femminile diventa una bambolotta, non sente il proprio corpo e cerca attraverso la violenza di sentirlo e sorride quando sa di aspettare un figlio.

Per ognuno c’è un tipo di funzione. Per me era fortissima la volontà e la voglia di rendere ancora più contemporaneo questo, e scavare ancora di più nei personaggi.

Nella letteratura compare spesso il contrasto tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, ma diciamo che adesso è facile rintracciare dell’attualità in una storia come quella di Wedekind

Il punto nodale è proprio questo! Il testo originale è importante perché l’autore lascia l’intendimento al lettore, lui parla di presagi non crea un percorso psicologico ma mette i personaggi in situazioni. La prima parte è frammentata da interni ed esterni ed è come se lui avesse anticipato il cinema.

Credevo che fosse la tua regia, diversa e più complessa rispetto alla tua precedente de “I Sentieri dei passi pericolosi”, a voler dare una narrazione cinematografica.

No, già nell’autore c’è questa rottura spaziale. Lui fa passare del tempo tra una scena e l’altra. Dopo il primo atto troviamo determinate situazioni e poi capiamo che sono passate delle stagioni. Attraverso un lavoro di relazioni siamo andati a ricostruire il passaggio del tempo che viene reso attraverso prove di recitazione.

Nel testo Wedekind mette delle didascalie precisissime. Peraltro proprio sul tempo vorrei far notare che lo spettacolo si apre nel giorno del compleanno di Wendla e si chiude a novembre, in prossimità della festività del 2 novembre. Ed un altro elemento importante è quando i ragazzi dicono che stanno leggendo la notte di Valpurga. Per queste tre date il testo nasce come dramma satanico e Wedekind gioca anche su questo. In una edizione di quest’opera in italiano, che non è l’ultima pubblicata appaiono anche altri riferimenti espliciti che rimandano a questo, con Lulù, Re Niccolò…

Era un po’ diffusa questa simbologia nella letteratura tedesca dell’800, penso a Rilke, a Goethe…

Goethe è quello che supporta tutto. Il viaggio nella conoscenza sta lì. Melchior legge il Faust.

In questo testo ci sono anche delle storie gay, una di queste non finisce bene perché il protagonista si suicida…

Ci sono due storie ma sono molto particolari. Sin dalle prime battute Wedekind ti fa capire che ci sono relazioni ambigue tra Moriz e Melchior. Rispetto ad un discorso sessuale c’è da dire che tutta l’opera è incentrata sulla scoperta del sesso in tutte le forme. Melchior infatti si incontra anche con Wendla ed ha rapporti con lei fino ad avere un figlio.

Si innesca un corto circuito in Moritz, con il desiderio di andare con l’amico che è più navigato, bisessuale (pansessuale diciamo noi parlando con gli attori). Ma in queste scene il sesso diventa conoscenza totale ed ognuno può leggere quello che vuole. L’altra coppia interpretata da Giuseppe Papa e Francesco Moraca è ancora più dichiarata, ed anche nel testo originario dichiarano sulla tomba dell’amico la loro omosessualità e la loro felicità.

Raccontaci un po’ di te, come sei arrivato al teatro?

Ho 32 anni, sono arrivato al teatro intorno al 2000. Lavoravo all’interno del Teatro Nuovo come organizzatore, qui ho fatto la mia gavetta. Venivo dall’Università “Federico II”, da Lettere Moderne. Al teatro ci sono arrivato come abbonato, poi dopo vari passaggi ho lavorato con il regista Latella come assistente, con lui ho viaggiato molto, ho lavorato poi a “Il Sentiero”, due letture per l’ambasciata francese ed ora ho avuto l’onore di aprire la stagione al Teatro Nuovo. Il rapporto con Latella mi ha permesso di girare moltissimo. Ho portato in tournee gli spettacoli in Germania. Portogallo ed in tutta Europa. Per me fare teatro significa prima di tutto tornare all’artigianato, all’essenza delle cose.

Un giovane regista che ha viaggiato e conosciuto quale confronto fa con l’Italia?

La situazione che stiamo vivendo, con i tagli dei fondi per lo spettacolo, sta diventando una battaglia e quindi per noi giovani, per noi trentenni, è difficilissimo. Io ho fatto uno spettacolo ogni due anni, per l’ultimo, “Il sentiero dei passi pericolosi” abbiamo fatto un investimento. Passando da tre attori ad otto attori. Chiaramente un giovane gira l’Italia andando ad incasso se gli va bene a cachet o a percentuale, e questa è una situazione molto difficile.

In Europa la situazione è un po’ diversa, ci sono compagnie che presentano progetti ed hanno sovvenzioni statali tramite associazioni. Qui devi far parte di una casa, di un determinato giro per ottenere ed arrivare ad una produzione.

Quali sono i progetti che seguiranno a questo?

Prima di tutto vediamo di capire quello che succede e cerchiamo di arrivare a tutto il pubblico possibile. Progetti ce ne sono e tanti che vanno da testi teatrali che ho nel cassetto, di Bouchard, che non sono nemmeno stati pubblicati qui in Italia, e vorrei lavorare all’adattamento di un testo di teatro molto complesso al quale sto pensando da parecchio. Ci sono tanti autori con i quali mi piacerebbe confrontarmi. La differenza è in quel sentimento che come uomo in un preciso momento stai vivendo.

C’è una battuta significativa in questo lavoro, “bisogna scendere giù e poi piangere insieme agli uomini e ritornare su e guardarli negli occhi”: il teatro è cercare una umanità per se stessi, che sia prima personale. Non in quanto legato al concetto di persona ma al concetto di personalità, qualcosa di più intimo. Questa possibilità ti dà Wedekind. Ogni personaggio ti dà la possibilità di scendere dentro di te. Poiché dietro ognuno di essi, anche attraverso l’ironia, c’è una richiesta d’amore.

Tommaso Tuzzoli inizia la sua attività come aiuto regista per lo spettacolo “Edoardo II” (2001) regia di Pierpaolo Sepe. Lavora come regista assistente di Antonio Latella per gli spettacoli: “I negri” (2001), “Querelle” (2002), “Porcile” (2003), “La tempesta” (2003), “La bisbetica domata” (2003), “Bestia da stile” (2004), “Edoardo II” (2004), “La cena delle ceneri” (2005), “Aspettando Godot” (2007). Nel 2005 debutta alla regia con “I re” di Julio Cortàzar e nel 2007 cura la regia de “Il sentiero dei passi pericolosi” di M.M. Bouchard, entrambi prodotti dal Nuovo Teatro Nuovo

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