In occasione della presentazione del libro “Rinviato a Giudizio”, abbiamo incontrato Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, per parlare di Aids, del caso Barilla, dell’iter della legge sull’omofbia ma anche del passato e del futuro del movimento gay italiano.

franco grillini“Rinviato a giudizio” racconta il calvario di un medico, una storia assurda di malasanità e omofobia. Un caso isolato?

Purtroppo non è isolato perchè in molto ospedali si continua a negare agli omosessuali la possibilità di donare sangue nonostante il decreto Veronesi dell’aprile 2001 che aboliva il divieto predisposto nel 1991 dall’allora ministro della sanità De Lorenzo. Il problema è che l’Aids è l’unica malattia che l’Oms definisce per chi la prende e non per come si contrae. Nella classificazione Oms c’e ancora l’omosessualità e addirittura omosessualità+tossicodipendenza. Sarebbe scientificamente molto più corretto dire che l’hiv si contrare nei rapporti sessuali non protetti sia etero che omo, che si può prendere da siringhe infette e durante il parto da madre sieropositiva.

Mimmo Ronga era primario del centro trasfusionale e giustamente usò il sangue di un omosessuale per una trasfusione e da lì inizia il suo calvario compreso il licenziamento dall’ospedale. Bisogna dire che le autorità locali non mossero un dito e che solo la sua tenacia e la nostra solidarietà lo ha portato a vincere in tribunale la sua/nostra battaglia.

Più di recente il caso Barilla si è risolto nel migliore dei modi e in tempi brevi. A voler essere cinici la possiamo considerare una vittoria del movimento oppure del marketing?

Il caso Barilla non si può dire risolto perché è ancora in corso un’azione per ottenere dall’azienda di Parma un cambiamento sostanziale della sua comunicazione in una direzione più corretta sul tema famiglia/famiglie inclusiva anche delle famiglie lgbt. Nell’incontro che c’è stato a Bologna con alcune associazioni nazionali si è stabilito che nei prossimi mesi l’azienda stessa ci farà delle proposte mentre noi abbiamo chiesto la sua disponibilità a sostenere una campagna contro l’omofobia.

Il grande clamore internazionale e la grande arrabbiatura della comunità lgbt seguita alle dichiarazioni di Guido Barilla è dovuta senza dubbio alla fama di questo marchio nel mondo ma anche all’irritazione prodotta negli anni dal noto spot della famigliola felice rigorosamente eterosessuale del Mulino Bianco. In realtà le famiglie sono molto più complesse di quella descritte dallo spot e purtroppo molto meno felici di come appaiono nella pubblicità della Barilla. Nell’incontro sono state ribadite le scuse dell’azienda alla comunità lgbt italiana e internazionale e abbiamo trovato molta disponibilità al dialogo e alla collaborazione, vedremo cosa ne verrà fuori.

Le associazioni lgbt si ritrovano divise sul Pride nazionale mentre alla Camera viene approvata una brutta legge sull’omofobia. Che futuro prevede per il movimento e le sue istanze?

Il primo vero pride nazionale in Italia si tenne nel 1994 a Roma su decisione del congresso di Arcigay dell’aprile del ‘94 a Riccione e fu un grande successo. Da allora c’è sempre stato il problema di dove fare il Pride nazionale e chi lo doveva/poteva decidere. Io ho sempre sostenuto la necessità di un Pride nazionale itinerante perché la manifestazione incide profondamente sulla realtà locale e consente alle associazioni lgbt di fare una mobilitazione che dura tutto l’anno.

Oggi il movimento è profondamente diverso da quello degli anni ‘80-90 quando eravamo in una condizione pionieristica. Oggi possiiamo dire di avere vinto sul piano sociale, prova ne sia il dato eclatante della ricerca Istat sulla condizione omosessuali in Italia quando ci dice che ci sono un milione di omosessuali dichiarati. Agli inizi degli anni ‘80 aeravamo solo qualche centinaio in Italia di gay visibili. Oggi non c’è famiglia, gruppo di amici, luoghi di lavoro o di vita sociale che non conosca un omosessuale.

Ma fatta la rivoluzione sociale rimane da fare quella giuridica e quella culturale. Quella giuridica sembrerebbe sul punto d’arrivo con il pur pessimo testo di legge sull’omofobia che speriamo sia corretto in Senato e con la legge sul matrimonio tra persone delle stesso sesso calendarizzata in Commissione Giustizia. Quella culturale è la più complessa perchè il pregiudizio antigay ha radici millenarie, ma gli strumenti per smontare stereotipi e pregiudizi sono a portata di mano e un profondo cambiamento nella cultura e nella mentalità è solo questione di tempo e di nuove generazioni.

foto: Francesco Quaglia © backstagephoto.it

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