Femminielli e ricchioni nel “Bestiario” della Cilento
libri. culturascritto da napoligaypress | 7 Luglio 2015 | condividi su facebook
L’ambiguità è un carattere inestinguibile della città, per questo le leggi contro la sodomia, applicate severamente in altri paesi fino ad epoche tristemente recenti, qui sono sempre state applicate con scarsa attenzione; forse anche per questo Oscar Wilde venne a Sorrento, da allora e anche prima di allora rifugio di coppie gay inglesi e americane, nonostante le pesanti accuse che la stampa napoletana (fra cui Matilde Serao) gli rivolgevano: chiacchiere, per fortuna, e non fatti, in una città che aveva generato il mito della Bella ‘Mbriana, fata, veggente e androgina.
Tant’è che nel racconto citato di Ramondino, Enzino e suo fratello, da adulti, pur avendo scelto vite diverse ogni tanto si annoiano e si scambiano di ruolo, dolcemente: qualche sera, il femminiello va a fare il marito a casa della cognata e il fratello, solido lavoratore, si traveste e si finge femminiello. Segno che le identità a Napoli sono da sempre calcate e insieme sfumate; che il femminile, perseguitato, è ovunque; che il materno, sottomesso, comanda; e che eros governa la città, mai disgiunto da thanatos, dalla morte.
Al femminiello è destinato il teatro – e grandissimi interpreti ed autori lo hanno conservato, riconsacrato, riesumato dalle sue spoglie della commedia dell’arte napoletana: basti pensare all’immenso lavoro di Roberto de Simone, a Peppe e Concetta Barra, alle voci della Nuova Compagnia di Canto Popolare – perché il suo ruolo è far ridere, nonostante la tragedia, far ridere della tragedia:
“Scende giù per Toledo e va di fretta Rosalinda Sprint, è in ritardo col sarto e deve andare da Marlene Dietrich. Fra mezz’ora, e quella non aspetta. Colpa della Camomilla Schultz che è vero che fa i capelli biondi e morbidi coi riflessi naturali e non stoppa come tutte le schifezze che mettono adesso in testa che sono poi tutte a base di acqua ossigenata, ma ci vuole un sacco di tempo a darsela, calcola tre sciampi graduati, il primo leggero, il secondo forte e il terzo tipo sciacquata abbondante, mentre col batuffolo d’ovatta e i decoloranti di moda fai presto però il risultato è discutibile, e quel ch’è certo, volgare. Ha dovuto poi aspettare che il sole arrivasse sul davanzale della finestra, cosa che in questa stagione si verifica verso le tre. Il tempo l’aveva calcolato in precedenza, prima di iniziare l’operazione, malgrado ciò è rimasta con la testa bagnata e il sole che non arrivava. Perché è proprio il sole che asciugando i capelli gli dà quella morbidezza che il fon nemmeno a parlarne, aridi e secchi, e con l’asciugamano a frizionarseli, peggio che mai, crespi e opachi. Una pernacchia, dalle labbra marce d’uno storto gobbo che la incrocia, le crepita in mezzo alla faccia. ‘A tua sorella!’ strilla Rosalinda Sprint e accelera il passo”.
Farà ridere fintanto che le lotte per l’identità non porteranno a vedere la serietà, il dramma, che colpisce inesorabile la Rosalinda Sprint di Giuseppe Patroni Griffi, e la necessità di acquisire diritti pari a quelli degli eterosessuali, diritto all’amore in piena luce, alla famiglia, alla cura della morte. Impossibile non leggere Pao Pao di Pier Vittorio Tondelli, storia di un servizio di leva e di una educazione sentimentale gay, senza pensare a Scende giù per Toledo, che lo anticipa di qualche anno con il folle e infelice amore di Rosalinda per un soldato americano, premessa certa alle opere di Annibale Ruccello, alla vana attesa d’amore di Jennifer, che abita nel quartiere dei femminielli bersagliato da un maniaco omicida, e che aspetta la telefonata di Franco. E nello stesso alveo, ma con presenze di Genet e Lacan, si muove la scrittura di Enzo Moscato, il suo teatro ma anche i suoi ricordi familiari raccolti in Gli anni piccoli.
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