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Supermercato inclusivo o solo di tendenza?

Supermercato inclusivo o solo di tendenza? Spesso mi capita di prestare poca attenzione agli spot pubblicitari. Ma questa volta ho ascoltato per bene quello che stava trasmettendo in televisione. E non mi è piaciuto affatto. Vediamolo assieme.

Da uno spot di un supermercato a qualcosa di più

Mi trovavo tranquillo in cucina, quando sono stato colto di sorpresa da uno spot pubblicitario molto particolare. La catena Famila, dal 3 Aprile, sta promuovendo una nuova pubblicità. “We are Famila! Tutta un’altra musica”, questo il suo nome. Per festeggiare i 40 anni di attività del supermercato il gruppo ha ben pensato di realizzare qualcosa di divertente. Peccato che la sceneggiatura di questo piccolo intermezzo presenti dei dettagli non sorvolabili.

Via con la prima dichiarazione tradizionale

I primi 20 secondi ancora sono molto classici. Persone comuni che girano al supermercato, per poi mettersi a ballare tra i corridoi. Dopotutto siamo in tema con la tagline proposta. Finché non ho sentito: “che siate famiglie tradizionali”. E mi si è accapponata la pelle. L’idea che si debba ancora stabilire una sorta di “normalità” tra le famiglie è allucinante. Ho voluto chiudere un occhio, poi siamo andati avanti.

Al supermercato ne vediamo… di tutti i colori

Dopo 10 secondi di stacchi di danza e musica, ecco il commento che stavo aspettando. “Colorate”. Un piccolo aggettivo posto nei confronti di due ragazze che ballavano nel supermercato. Perché sì, una coppia LGBTQIA+ è una coppia arcobaleno, no? Ma dobbiamo veramente etichettarlo così? Capisco il politicamente corretto, la vicinanza, c’è chi non si sognerebbe nemmeno di dirlo. Ma adesso vi dico la mia.

Quanto questa distinzione ci fa bene?

Portare al giorno d’oggi ancora la stessa retorica della famiglia arcobaleno e quella tradizionale è estremamente dannoso. Non solo ci stiamo chiudendo da soli in una scatola, ma ci stiamo essenzialmente distinguendo. La famiglia è famiglia. Sia essa fatta da due genitori della stessa identità di genere, con uno solo o così via. Questa categorizzazione, questa suddivisione, ci sta portando sempre più a separarci. Come i divisori in un supermercato, stessa ala ma due lati opposti della scaffalatura.

Non siamo arrivati solo tra gli scaffali di un supermercato

Siamo arrivati ad un punto in cui la rappresentazione LGBTQIA+ al giorno d’oggi è già presente. Per quanto in piccole quantità, troviamo in qualsiasi settore una rappresentanza. Non è male neanche darci più enfasi, considerando la disinformazione che gira ancora nel nostro Paese. Perché ci vorranno anni ed anni per combattere stigma e pregiudizi che ancora sono ben radicati nella nostra cultura. Allora perché polemizzare sullo spot pubblicitario di un supermercato? Arrivo al dunque.

Troviamo adesso qualche problemino

Quello che mi preoccupa di questa sceneggiatura è la scelta delle parole utilizzate. Perché, ad oggi, di tradizionalità non c’è più niente. Quanti genitori fanno il lavoro di due figure, quanti nonni crescono i nipoti come figli loro. E sì, quante coppie LGBTQIA+ diventano genitori, assolutamente. Perciò usare ancora la definizione di “famiglia tradizionale” è di per sé problematico e discriminatorio. Sia usato in uno spot giocoso per un supermercato che in altri contesti. E non solo.

Eviterei di mettere nel carrello del supermercato le etichette

Non mi nascondo dietro un dito in questo. Perché anche il termine di “famiglia arcobaleno” non lo tollero. Lo accetto nel nostro vocabolario? Certo. Lo trovo discriminatorio a sua volta? Assolutamente. Parliamo sempre di famiglie. Cosa c’entra l’orientamento sessuale o l’identità di genere in tutto ciò? Ma, sfortunatamente, in Italia c’è ancora bisogno di usare queste etichette fin troppo strette. Se solo si potrebbe comprare un po’ di sana informazione al supermercato.

Quindi, nel finale, ha sbagliato?

Riassumendo: lo spot del gruppo Selex è sbagliato? No. Penso sia ben inserito in un contesto politico e sociale attuale. Comunque promuove tutti concetti di una spesa al supermercato semplice, divertente ed appagante. Ma anche il concetto di famiglia dovrebbe seguire gli stessi criteri. La definizione dovrebbe essere semplice, inclusiva e corretta. Invece è sempre contornata da dettagli “futili”, a mio avviso, che non fanno altro che dividerci.

Penso che questa pubblicità del supermercato potrebbe essere migliorata

Onestamente sono d’accordo con le parole di Massimo Baggi, direttore marketing del Gruppo Selex. Perché questo spot è sempre ambientato in “un luogo dove ci si sente a casa” ed è “un punto di riferimento per le famiglie italiane“. Ma lo interpreto più al di fuori del contesto del supermercato. È come dichiarare che una casa e una famiglia italiana è anche così. “Classica”, per così dire, allargata o sì, anche colorata.

Troviamo nuovi approcci all’argomento

Perciò, il mio invito sarebbe quello di trovare nuove strategie di comunicazione. Nuovi modi, nuovi termini, nuovi esempi. Perché una retorica ancora così legata ad un’etichetta è sempre una retorica divisiva. Per questo l’ideale sarebbe chiedere alla comunità stessa come si vorrebbe essere rappresentati. Quali sono i termini giusti, i concetti corretti, la retorica più ideale. Se si partisse anche solo da uno spot pubblicitario di un supermercato si potrebbe arrivare anche lontano. Perché c’è bisogno di staccarsi da questi modelli inclusivi, per carità, ma ancora poco progressisti in tutti i campi.

Al supermercato Famila servirebbe una chiacchiera con loro

Qualche settimana fa ho adocchiato il progetto di Comunicattive. Da 20 anni lavorano proprio su questa tematica: comunicazione orientata all’ottica di genere. Oltre al classico studio di marketing, forniscono lezioni di formazione sul linguaggio. “Quello in cui siamo brave è la visione d’insieme strategica per comunicare a più persone possibili nel rispetto delle loro specificità”, così parlano del loro lavoro. Mi sa che il supermercato Famila doveva chiamare loro per una consulenza.

Non sottovalutiamo il potere della comunicazione!

Credo che in questo momento sia importantissimo parlare di comunicazione. Moltissime aziende fanno testo a realtà di marketing, ma fino a che punto? Quanto stanno seguendo la massa, e quanto invece puntano al progresso? Perché saper comunicare con tutti, comunità inclusa, è il primo passo. Il dialogo, e quello corretto, ci salverà dal pregiudizio, dalla disinformazione e dalla chiusuza mentale.

Una sufficienza per Famila, ma la prossima volta è meglio che prendano più appunti a lezione. Meglio mettere la giusta inclusione sugli scaffali del proprio supermercato.

 

Aeden Russo

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