Tantissimi membri della comunità LGBTQIA+ sono in fuga da paesi come il Messico, ma non ci sono abbastanza centri di accoglienza per dargli ospitalità. Andrés (come si presenta a noi, a protezione della sua identità) viene da El Salvador, e sin da quando era un giovane adulto ha dovuto affrontare l’Inferno per il semplice fatto d’essere un uomo gay.
Tramite All Out ha potuto raccontare la sua storia ed io ve ne riporto uno spezzone.
La fuga dal Messico: com’è iniziato tutto
Andrés non ci presenta una storia rose e fiori, anzi, il suo passato è costellato di traumi e di eventi ignobili contro di lui, i suoi cari, tutto ciò che aveva. «Quando avevo 23 anni», racconta, «i miei genitori hanno cercato di uccidermi dando fuoco alla mia casa. Quella notte, il mio ragazzo è stato ucciso con tre colpi di pistola e altri due amici sono morti. Tutto questo solo perché erano omosessuali». Un crimine dettato dall’odio e partito proprio da quella che Andrés definiva “famiglia”.
Così Andrés, traumatizzato dalla crudele e infinita violenza contro le persole LGBTQIA+ ad El Salvador, è stato spinto a fuggire dal suo paese natio nel Gennaio del 2019.
La fuga dal Messico: al di fuori degli abusi?
Andrés, sfortunatamente, non ha avuto vita facile anche al di fuori d’El Salvador: «Arrivato a Tapachula, sono stato derubato e lasciato senza soldi. (…) Ho dovuto dormire per strada per settimane. Ancora una volta, stavo vivendo la stessa discriminazione da cui ero disperatamente fuggito». E, purtroppo, le violenze non si fermano: «Ho subito percosse che mi hanno provocato gravi lesioni. Venivo regolarmente discriminato nei rifugi in cui dovevo dormire e dai funzionari dell’immigrazione».
La fuga dal Messico: un posto sicuro
Dopo tutte le violenze e il rapporto disumano a lui riservato, per fortuna Andrés ha trovato un posto sicuro dove sostare. Verso la fine del 2021, a Casa Frida – una casa di accoglienza per persone LGBTQIA+ a Città del Messico, ha potuto vivere diversi mesi in una ritrovata pace e quiete. «Lì mi hanno accolto (…) Aiutandomi a regolarizzare il mio status di immigrato e a recuperare la mia salute mentale».
La fuga dal Messico: Casa Frida e la sua ospitalità
Raúl Caporal, il direttore di Casa Frida, ci racconta un po’ del suo centro: «Abbiamo aperto due anni fa per dare un tetto alle persone LGBT+ che, a causa della pandemia, erano costrette a vivere per strada. Da allora, sono state accolte più di 345 persone». Da parte dei migranti, però, le richieste sono aumentate nell’ultimo periodo del 45%, e provengono tutti da paesi come El Salvador, come Andrés, Guatemala ed Honduras. Qui è quasi impossibile condurre una vita normale, tra le minacce di morte, aggressioni fisiche e un generale rifiuto.
Le autorità, inoltre, non considerano la omobitransfobia come una grave minaccia, rendendo così più difficile per le persone della comunità dimostrare la loro necessità e urgenza di accedere ad un asilo. Così facendo, molte persone sono costrette a vivere per strada senza cibo. È fondamentale un ulteriore posto sicuro, così che chi ha bisogno d’aiuto non si ritrovi per strada come Andrés e tanti altri; «In questo modo sarà molto più facile per queste persone ricominciare la propria vita in Messico, lontano dalla violenza e dall’odio».
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Aeden Russo