libri/anteprima: “La buon legge di Mariasole” di L.R.Carrino
libri. culturascritto da napoligaypress | 22 Marzo 2015 | condividi su facebook
Gli occhi nella stanza sono lumini accesi a lutto, davanti alla faccia mia. Questa gente, che ci sta davanti ai piedi per farci vedere che è presente, dà solo fastidio al mio ritegno e consuma quel poco di aria che c’è in agosto.
«Per piacere, andate fuori».
Le scarpe fanno rumore sul parquet. Le gambe si mettono in fila davanti alla porta della nostra camera da letto. Escono tutti. Quello dietro appoggia le mani sulle spalle di quello davanti e lo spinge fuori: vuole farmi capire che sta rispettando l’ordine più presto che può.
Antonio, di fianco a me, sta per mettersi a piangere.
Zitto a mamma, dice la mia mano nella sua.
Non ti dare penziero, Giovanni, nostro figlio lo sa. Tiene sette anni però glielo hai già imparato che non si deve piangere davanti alla gente.
Sta’ zitto a mamma, resisti e ricordati chi sei, ribadisco con gli occhi a nostro figlio.
«Vai con la nonna».
Mamma dà la mano ad Antonio e se ne va sulla punta dei piedi come se stesse camminando sopra alle uova. È colpa delle scarpe. Deve buttarle, le fanno le vesciche.
L’ospedale ti ha mandato nella bara. Volevo che ti stendessi nel nostro letto un’ultima volta e ci sono riuscita a portarti un momento a casa.
Ne servono quattro per rimetterti dentro. Marietto ti afferra le gambe. Alla testa ci pensa Ferdinando. Per le braccia ci sono
Cosimo e Peppino. Ti alzano in paranza e nel letto rimane la tua forma senza calore, il fosso del tuo corpo.
Il vestito che ti ho messo è di Armani. Lo abbiamo comprato per andare alla comunione della figlia di Giggino Cascetta, il mese passato. Ho dovuto scucire le maniche della giacca e della camicia, anche i pantaloni li ho dovuti aprire per farteli entrare: è impossibile vestire uno che è morto da tre giorni.
Ti appoggiano dentro la cassa e la fasciatura si sfila dalla testa. Il buco in fronte, al centro, in mezzo agli occhi.
Tu, sugli scogli di Mergellina, che cadi in mezzo alle zoccole di tre chili. Tu, con Salvatore morto a fianco, la faccia illuminata dai lampi dei fuochi a mare e il rumore dei botti. Due flash uno appresso all’altro e ritorno qua, ai piedi del nostro letto.
Ferdinando ti risistema la benda. Spera che io non abbia visto. Mi fanno schifo le mani come te le hanno messe sullo stomaco.
Mani a morto. Mia madre dice che si fa così e basta.
Ferdinando mi cerca lo sguardo per capire se voglio restare a vederti per l’ultima volta.
«Mariasole, noi usciamo un momento».
Non tengo nulla da vedere che non ho già visto, che non so già, che non ho saputo in questi anni che siamo stati assieme.
«Non serve».
Tutti e quattro i tuoi amici mi guardano. Ferdinando tira fuori una videocassetta dalla tasca della giacca, ti alza la testa e ce la mette sotto.
Il coperchio della bara ti scompare dai miei occhi e io zitta.
Adesso devo uscire e camminare a piedi fino alla fine del viale. Resta di andare al cimitero con le macchine e tu davanti che ci fai strada. Poi te ne vai sottoterra. Poi è finita.
Zitta, esco fuori. Ti prego, dammi la forza. Mi metto davanti alla gente che ti aspetta, senza una parola che sia una, nascosta dietro le lenti scure per il sole. Non sei ancora completamente fuori dal portoncino che già scatta l’applauso. Il figlio di Musso sbatte le mani forte, lacrime agli occhi. La moglie di Totore ’O Scannato si dispera, vuole abbracciarmi. Mia madre la scansa con una manata, gentilmente.
Il viale di casa nostra è lungo. Andiamo, Giova’. Ti portano a spalla fino all’incrocio. Ferdinando e Cosimo ti tengono davanti, Peppino e Marietto dietro. Io e Antonio appresso e appresso tutti gli altri.
Zitta cammino dietro di te. Mi metto piccola nella mano che tuo figlio mi stringe comme a che. Mi metto sotto il braccio di mia madre e lei lo pensa che se cado non tengo la forza di rialzarmi da terra, lei lo pensa che posso prendermi una storta sui sampietrini con questi tacchi e che posso fare un colpo di tosse e perdere l’equilibro e possono cadermi gli occhiali e tutti vedrebbero la faccia mia accartocciata da un pudore scostumato.
Dietro di te ora ho il diritto di fare cento e uno strilli, ho il dovere di morire pazza appresso a te, perché la gente lo vuole vedere il mio dolore e se lo vuole piangere anche per me.
Scusami, dammi la forza e scusami, Giova’, se io appresso a te zitta mi muoio.
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