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Donne LGBTQIA+, quanto ve la state cavando?

Donne LGBTQIA+, quanto ve la state cavando? Penso attualmente molto male. Ho sentito parlare di una ricerca che riguarda proprio la popolazione femminile queer. Vediamola assieme.

Se sei donna LGBTQIA+ parti svantaggiata

Lesbiche e bisessuali muoiono prima delle donne etero. Ma perché? La ricercatrice Sarah McKetta, dell’università di Harvard facoltà della salute pubblica, ci ha spiegato in un suo breve video informativo cosa succede per questa fetta di persone LGBTQIA+, suo oggetto di studi. Sembrerebbe che le donne lesbiche o bisessuali muoiano il 26% prima di quelle eterosessuali. Lo dichiara per PinkNews. Ma com’è possibile che accada ad una fetta così grande di persone? Cosa accade alle donne, in particolare quelle LGBTQIA+, di così diverso? Per fortuna è stato condotto uno studio recentissimo che ce ne parla.

E se fossi una donna bisessuale?

Ad essere ancor più penalizzate in questa casistica sono le donne bisessuali. Tra la parte di comunità LGBTQIA+ analizzata è certo che già solo loro muoiano il 37% prima delle donne eterosessuali. “Siamo stati molto sorpresi“, commenta la ricercatrice, “dalla grandezza di questo rischio. Pensavamo di riscontrare una disparità, non potevamo immaginare che fosse così grande“. Quindi non solo una donna è più a rischio, come potevamo immaginare. Ma se sei una donna lesbica te la cavi anche meglio di una bisessuale. Questi dati sono fondamentali per comprendere non solo le disparità di genere, ma quelle più specificamente tra lo stesso sesso.

Non è una storia di adesso, ma di decenni indietro

È già stato riscontrato da tempo, se non decenni, che le donne lesbiche e bisessuali hanno una peggiore condizione di salute, è sistematicamente accertato rispetto alla controparte eterosessuale. Sono tutti dati scientifici altamente documentati. La stessa McKetta è capo autrice di uno dei primi studi che hanno analizzato la mortalità di donne con diversi orientamenti sessuali. Verso fine Aprile di quest’anno, infatti, ha pubblicato un’investigazione condotta in particolare sulle infermiere donne a partire dal 1945 fino al 2022. La cosa che più mi dà a pensare che una ricerca sulle donne, in particolare quelle LGBTQIA+, non sia stata condotta con così tanto dettaglio prima. Possibile mai che a nessuno sia importato delle donne queer prima d’ora?

Chi è stato indagato e perché

Per condurre quest’indagine altamente specifica la ricercatrice ha utilizzato tutta una serie di dati sulla salute negli Stati Uniti. In particolare avrebbe prediletto 100.000 infermiere in servizio a partire dal 1989. In questi studi erano presenti anche donne con diversi orientamenti sessuali, uno dei primi studi ad averceli molto prima dei sondaggi e della casistica nazionale. Ma come si può spiegare questa differenza sostanziale tra le donne LGBTQIA+ e quelle eterosessuali? E, soprattutto, perché lo Stato americano non ha indagato prima questi tassi di mortalità? Anzi, perché non ha mai investito su della ricerca di qualità inerenti alle donne?

Le differenze all’interno della comunità LGBTQIA+

Le donne bisessuali tendono ad avere esperienze di discriminazione non solo al di fuori della comunità LGBTQIA+. Infatti sono uno dei diversi target della comunità stessa, che come sappiamo non è interamente inclusiva come si potrebbe immaginare. Molto spesso donne bisessuali si ritrovano in relazioni con uomini, o comunque partner male presenting. Questo le porta a subire un’intensa pressione per nascondere la propria identità. È corretto nei loro confronti? Assolutamente no. Ma come si può parlare di sessualità e orientamento se una donna bisessuale viene “guarita” da questa sua “malattia” appena sta con un uomo?

In che condizioni stanno peggiorando?

Sappiamo inoltre da decenni di ricerca delle esperienze di stigmatizzazione che le minoranze, soprattutto quelle LGBTQIA+, subiscono a livello di orientamento sessuale. In questi casi nascondere la propria identità porta a questi processi interiori molto sinistri. Per spiegarlo meglio: porta a subire più stress, a comportamenti nocivi come l’abuso di sostanze e così via. Non sono estranee anche malattie mentali. Tutto questo per poter cavarsela. Tutto questo perché il mondo non è ancora sicuro, e se una donna viene violentata o peggio uccisa per le più futili motivazioni, figuratevi come devono vivere. Anzi, sopravvivere.

L’etnia gioca come fattore di discriminazione oltre che l’appartenenza alla comunità LGBTQIA+

Abbiamo già visto dei comportamenti similari. In particolare quando le donne bisessuali, scientificamente parlando, bevono e fumano di più. Hanno anche una salute mentale e cardiovascolare peggiore. E questo non solo rispetto a donne eterosessuali, ma anche lesbiche, quindi all’interno della comunità LGBTQIA+ stessa. E potrebbe essere anche peggio andando ad analizzare un campione differente rispetto a quello evidenziato dagli studi di McKetta. I dati sono già poco incoraggianti, ma cosa succede se a questo campione aggiungessimo una fetta uguale di donne nere? E di donne asiatiche? Perché, come ben sappiamo, la maggior parte della casistica non include persone di molteplici etnie e provenienze.

Cosa succederebbe quindi se cambiassimo target?

Gli autori di questo articolo sulle donne LGBTQIA+ hanno concordato, infatti, che si può presupporre che le infermiere hanno un accesso facilitato alle cure. Sono comunque relativamente in salute per lavorare e ricevere un compenso, ma non è tutto. Negli Stati Uniti molte disparità che vediamo tra le persone LGBTQIA+ si affiancano anche a fattori razziali. La fetta di persone indagate, ad esempio, era principalmente composta da donne bianche. Quindi non solo sono state analizzate donne con compensi economici diciamo adeguati, ma anche principalmente avvantaggiate per il loro aspetto. Perché sappiamo tutti che una donna bianca è di sicuro vista con un occhio di riguardo rispetto ad una donna nera. Questo escludendo la componente queer.

Dovremmo investire su questo tipo di ricerca

Tutta quest’analisi è per sottolineare che la ricerca attualmente rilasciata, annesso scoperte, è solo una stima approssimativa, se non incompleta, di quello che potrebbe realmente essere. Se solo i ricercatori avessero avuto il modo di accedere a sondaggi alla popolazione in senso più generale i dati si sarebbero con certezza modificati. Ma allora cosa stiamo aspettando? Come mai il mondo non sta attualmente investendo su della ricerca utile, fondamentale? È perché è ancora maschilista. Anche le case farmaceutiche si affidano a ricerche principalmente su soggetti di sesso maschile. Possibile mai che dobbiamo vivere così?

Invece qual è la realtà dei fatti?

Non solo se sei parte della comunità LGBTQIA+ parti svantaggiato. Se fossi una donna staresti anche peggio. E se fossi una donna bisessuale te la caveresti ancora peggio. Com’è possibile che sia questa la nostra realtà dei fatti? Che le donne nel 2024 devono ancora subire un comportamento così nocivo nei loro confronti? Ma, soprattutto: perché se sei donna e sei bisessuale la tua identità dev’essere nascosta nel momento in cui hai un compagno di sesso maschile? A queste domande, sfortunatamente, io non ho risposta. Ma spero con tutto il mio cuore che i ricercatori di domani possano trovarla e agire per il bene delle donne queer, o in senso generale di tutte le donne al mondo.

Quando toccherà all’Italia rilasciare della sana ricerca sulle donne e la comunità LGBTQIA+? Questo non spetta a me dirlo. Ma secondo me è una di quelle situazioni alla “aspetta e spera”.

 

Aeden Russo

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