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Olimpiadi 2024: atleti trans, speculazioni, realtà dei fatti

Olimpiadi 2024: atleti trans, speculazioni, realtà dei fatti. Se ne parla tantissimo ma in modo scorretto e disinformato. Facciamo luce quindi su Imane, i veri atleti transgender e quello che sta succedendo negli ultimi tempi.

Olimpiadi 2024: il caso Khelif vs il mondo

Stiamo assistendo ad un vero e proprio caso mediatico sulle identità transgender in queste ultime settimane. Tutto è nato da un dubbio sollevatosi sull’atleta Imane Khelif, pugile algerina in gara alle Olimpiadi 2024 di Parigi. Solo una cosa adesso potrebbe “salvare” la situazione: il fatto che anche i bigotti stanno ammettendo che non si tratta più esclusivamente di genitali. Perché, secondo questa logica, Imane sarebbe una donna giustamente, no? E invece mettono in gioco i suoi livelli di testosterone per “smascherarla” come donna (o uomo, dipende dalle occasioni) trans. Ma lo sanno che tutte le donne posseggono sia testosterone che estrogeni? A quanto pare no, bisognerebbe tornare a fare lezione di Biologia di base per tutti.

Partiamo dalla questione genetica

Chiariamo brevemente questo punto. Imane fu squalificata l’anno scorso perché avente cromosomi XY, solitamente riscontrati negli uomini. Esistono però diverse variazioni di questi cromosomi tipici, tutte riconducibili a sindromi o connotazioni differenti. Sono ben 40 diverse, tutte rare, e contano 1 singolo caso su circa 6.000 nascituri. “Ma non bastano solo i cromosomi a stabilire come si diventa di un sesso o di un altro“, e ce lo spiega anche Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata. Infatti a renderci ciò che siamo è una combinazione di geni e ormoni, tutti studi che attualmente negli sport non vengono considerati. Anzi, “ci sono regole diverse in base alle Federazioni e ai paesi“. Perché quindi dovrebbe essere un fattore di esclusione alle Olimpiadi 2024 di Parigi me lo dovete spiegare, e con dati scientifici alla mano.

Come Imane è arrivata alle Olimpiadi 2024

Imane, quindi, è una donna a tutti gli effetti, ma solo affetta da una particolare condizione medica. L’iperandrogenismo, infatti, le fa produrre una quantità in eccesso di androgeni. E, per chi crede che questa risposta ormonale naturale della Khelif possa in qualche modo avvantaggiarla rispondiamo così: no. Ha combattuto contro il giudizio in Algeria già a 15 anni per la carriera che ha voluto seguire. Aiutava la madre a lavoro e rivendeva qualcosa pur di poter continuare a fare boxe. Per quanto stia affinando le sue capacità, la pugile è arrivata 17ª a Nuova Delhi nel 2018 e 33ª in Russia l’anno successivo. Battuta 5 a 0 a Tokyo nel 2021, arrivando quinta. È da circa 2 anni che sta vincendo molto, mai per K.O.

Se proprio volessimo attaccarci alla questione squalifica…

“Ma è stata squalificata per mancato rispetto delle regole di partecipazione”, mi direte. Ma nessuno parla di come la IBA non abbia mai dato spiegazioni di questa sua squalifica. O di come quest’organizzazione sia stata cacciata dal CIO e sollevata dai tornei olimpici. Continua a nascondersi dietro la privacy, accennando solo al fatto che non si trattasse dell’iperandrogenismo della Khelif. Fatto sta che, magicamente, la federazione internazionale di boxe ha approvato una regolamentazione specifica per gli atleti intersex solo 6 mesi dopo l’accaduto. Un modo un po’ tardivo di reagire a protezione di atleti chiaramente svantaggiati dalla propria stessa condizione fisica, come se ci potessero far qualcosa. Per fortuna non è stato impedito all’atleta di partecipare a queste Olimpiadi 2024.

Nessuno parla di tutte quelle donne vessate prima delle Olimpiadi 2024

E sulla questione ormonale vi porto il caso di Caster Semenya, campionessa sudafricana di atletica leggera. Anche lei affetta da iperandrogenismo, anche lei estremamente colpita per questo. Nel 2019, infatti, fu costretta ad assumere obbligatoriamente dei farmaci per gareggiare, andando ad abbassare il suo livello naturale di testosterone. Vi lamentate tanto che alle persone transgender vengono iniettati ormoni facendoli diventare contro natura. Ma quando una normalissima donna è costretta ad un test sulla sua identità sessuale, oppure a prendere dei farmaci per inseguire il suo sogno, a questo punto silenzio tombale. Cos’hanno in comune Caster e Imane? Essere donne nere. Pensateci un po’. Ci aggiungiamo alla lista anche la taiwanese Lin Yu-ting, Dutee Chand, le sorelle Williams e tutte quelle donne colpite dal razzismo e la misoginia.

Cosa succedeva prima delle Olimpiadi 2024

“Prendi gli ormoni e basta, annulla questo vantaggio fisico”, va bene. Ma sapete cosa causano queste terapie di abbassamento? Insulino-resistenza e intolleranza al glucosio, quindi un possibile diabete, assieme a svenimenti, vomito e depressione. Effetti collaterali che un’atleta non si può permettere. Altrimenti si gareggia nelle competizioni maschili, e direi che parliamo di una differenza abissale. Anche perché la produzione di testosterone è leggermente più alta di quella tra le donne, non alla pari di quella di un uomo. Se proprio vogliamo dichiarare che ci sia un vantaggio, è pressoché nullo. Fatto sta che da quando questi test non sono più obbligatori solo le donne africane o asiatiche vengono ingiustamente accusate d’essere uomini sotto mentite spoglie.

Quando il razzismo, la misoginia e la transfobia vanno a braccetto

Abbiamo chiarito la questione genetica e ormonale, adesso passiamo a qualche altro elemento. Essere transgender significa non essere in linea tra caratteristiche biologiche e quelle sociali, s’identifica con il senso di appartenenza più intimo e profondo. Cosa che Imane non è, in quanto nata donna, anagraficamente donna, si riconosce come donna. A parte la variazione genetica, di cui lei non ha colpe e non può di sicuro modificare nel corso della sua vita, non ha mai espresso il desiderio di essere riconosciuta come altro. Paragonarla ad un mostro, aizzarle governi contro e deumanizzarla di sicuro non cambierà il dato di fatto. Anzi, riconoscerla solo nella sua condizione umana e naturale di nascita è patologizzarla e renderla solo un fenomeno da baraccone. Imane è una grandissima atleta, una perfetta rappresentante del suo paese per la boxe femminile ed ha meritato di vincere quella medaglia più di chiunque altro.

E quindi chi sono i veri atleti transgender?

Ma quindi, in tutto questo casino, esistono atleti transgender? Eh , per quanto siano invisibili, non come a detta della Roccella “esistono solo loro. A Tokyo ci fu Laurel Hubbard per il sollevamento pesi, neozelandese eliminata quasi subito. Chris Mosier nella marcia per gli USA, che ha iniziato la sua carriera nelle competizioni femminili e dal 2015 in quelle maschili. Patricio “Pat” Manuel, primo pugile professionista trans qualificato alle Olimpiadi 2012 nella sezione femminile e dal 2016 nella divisione maschile. Schuyler Bailar nuotò nel 2015 per i campionati collegiali americani come uomo trans, mentre Iszac Henig sta iniziando a competere contro gli uomini da quando l’anno scorso si è sottoposto a cure ormonali ed una mastectomia. E, per chiudere il cerchio, sempre l’anno scorso Bobbie Hirsch a Detroit ha partecipato ad un evento universitario di scherma.

Come funziona quindi adesso alle Olimpiadi 2024

Chiunque a prescindere dall’identità di genere, dal sesso e dalle sue possibili variazioni, ha diritto a partecipare alle competizioni sportive. Gli atleti potranno scegliere di gareggiare nella categoria che meglio rappresenta il loro genere d’elezione“. Così scrisse il CIO, guidato da ben 250 esperti del settore. Permane la verifica che ciascuna partecipazione non debba creare un eccessivo vantaggio o svantaggio tra gli atleti, ma solo con certe evidenze scientifiche. In più stop a tutti i test che determinano la categoria di appartenenza. Queste le attuali regole in vigore alle Olimpiadi 2024. L* calciatore canadese Quinn, due volte medaglia olimpica, ha aggiunto: “Le nuove linee guida riflettono qualcosa che sappiamo da tempo: che gli atleti e le atlete come me partecipano alle competizioni sportive senza alcun vantaggio. La nostra umanità merita di essere rispettata“.

Vediamo un atleta da vicino

Al momento l* mezzofondista Nikki Hilts, atleta transgender e non-binary 30enne, sta partecipando alle Olimpiadi 2024 di Parigi. Medaglia d’argento ai mondiali, è la prima persona non binaria a gareggiare. Così dichiarò nel 2021: “Non mi identifico con il genere che mi è stato assegnato alla nascita: il termine che uso per descriverlo correttamente è non-binary. E il miglior aggettivo che si può utilizzare per spiegarlo è fluid“. Perché non ha fatto così tanto scalpore allora? Perché fu assegnata donna alla nascita (AFAB per i più pratici) e sta gareggiando nella categoria femminile. Allora fin quando le persone transgender “rimangono al loro posto” va tutto bene. Ma appena provano anche solo a gareggiare con chi vogliono ecco che parte lo scandalo. Anzi, fin quando si tratta di una persona che voi potete ingabbiare in quell’orribile etichetta dispregiativa che avete creato allora sta dando fastidio.

Al momento sono quasi 200 gli atleti LGBTQIA+ che stanno gareggiando alle olimpiadi di quest’anno, in aumento rispetto a 4 anni fa. Nella speranza che questi atleti non saranno più oggetto di discussioni intense, auguriamo il meglio a questi ragazzi nelle loro competizioni.

 

Aeden Russo

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