Sarà presentato lunedì 31 gennaio alle 19.00 alla Fnac di Napoli (via Luca Giordano) “Il mio cuore è un mandarino acerbo”, il nuovo romanzo di Alesso Arena di cui vi proponiamo in anterpima il primo capitolo.

la copertina del libro0. CAMPO NERO

È la sua faccia.
La sua faccia sembra uscire dallo specchio con il dolore di un parto.
È una maschera messa male, e si afferra a quel poco di luce che la grossa lampada del tavolo del secondino le mette addosso.
È la sua faccia povera di grazia, che ha assorbito le ombre del trucco attorno ai grandi occhi che adesso sono due spicchi d’aglio, le guance alte che si stendono nell’interpretazione di una smorfia, che è una specie di sorriso, che è la prima cosa scura di questa sera.
Questa sera è voluta restare da sola nella cella, stesa sul letto a guardarsi, mentre gli altri carcerati stanno vedendo la partita nel camerone di sopra, quello attaccato all’ufficio di direzione dell’infermeria, tutti scortati dagli ufficiali Barano e Musco che prima di andarsene hanno chiuso le finestre del corridoio, e uno di loro, solo uno, ma non poteva esserne sicura, ha lasciato la radio accesa su un’altra stazione.
Il volume non è molto alto, ma si capisce lo stesso, il beat delle chitarre ammansite dal sintetizzatore fa la parte del leone, sembra quasi un lamento che non sa nemmeno lui per cosa disperarsi, un lamento che capitola dentro la voce di Amanda Lear.
La canzone che sta suonando Veronique se la ricorda bene: Marsiglia nell’Ottanta che pioveva tre volte al giorno, e ogni notte dal campanile di Notre Dame de Garde una nuvola chiarissima faceva piroette su se stessa, e si sdraiava lungo tutta la collina, e aveva la sua faccia.
Quell’anno Amanda Lear uscì con Diamonds For Breakfast e aveva l’oro addosso e una grande corona di spine di rubino; si era lussata un braccio montando su un graziosissimo pony nel mercato che stava a Le Panier, dove la casa discografica aveva organizzato una dimostrazione pubblica per presentare il nuovo lavoro.
Veronique l’aveva conosciuta di persona, giù al porto, quando uno dei nani s’era messo in testa l’idea di dare i volantini sui pattini.
Le si avvicinò offrendosi per leggerle la mano, e l’attaccatura dei capelli.
Allora Veronique si annoiava molto, era vegetariana, e parlava con i fiori che stavano sul suo balcone di Belsunce.
Amanda era stata molto gentile con lei, anche se aveva fretta, le aveva detto che aveva un bel nome, come quella con la faccia di Cristo.
Soprattutto non sembrava essersi accorta di star parlando con un uomo.
La faccia di Veronique adesso canticchia la canzone trasportandola involontariamente alla sua miracolosa ottava di mezzosoprano drammatico, e ha caldo, troppo caldo per ripetere quella frase che non può mai suonare abbastanza disperata, dire mother look what they’ve done to me, guarda cosa mi hanno fatto, spezzando un poco la voce su ogni parola come fa Amanda e il suo respiro suadente, indolore, che è così lontano da lei, è così incarcerato nella pioggia di fuori che si fa mare aperto, scappa via prima che sia troppo tardi, prende il prossimo traghetto per Napoli, o quello delle 22:30 che va a Pozzuoli.
Tutto è già compiuto quando questa storia comincia.
Dio è morto e risorto, e l’Italia ha perso contro la Germania Est.
Veronique se ne sta stesa a guardarsi sul letto. Poi ci scava sotto con la mano, sicura di trovarci qualcosa. La prende. È la Bibbia scarabocchiata di Leonardo Pugliese.

VERONIQUE (fuori campo) “Larga la tua ferita sarà quanto il mare, dice il Signore, poiché hai dovuto consegnare ciò che non avevi rubato. Ma io resterò a guidare le acque che ti sono penetrate fino all’anima, e metterò un’isola dentro di te perché il dolore di Israele scelga bene la sua dimora.”

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