Si riconferma la tendenza che vede un insieme di concetti che non dovrebbero essere associati, ossia attivismo e morte: l’assassinio di Edwin Chiloba in Kenya lo prova. Dopo l’uccisione, lo scorso aprile, dell’attivista Sheila Adhiambo Lumumba (25 anni), questa morte racconta ancora una pagina delle barbarie omofobe. Il corpo della vittima aveva subito un martirio che va ben oltre la morte: uccisa, strangolata, violentata e con le gambe rotte. Se dunque non fosse già abbastanza inquietante l’idea di infliggere la morte a un essere umano, quale credo potrebbe davvero ritenere giuste tali sevizie?
Non è infatti (ancora) assurdo che un umano possa perdere la vita nel battersi per la propria libertà e per i propri diritti negati. Stessa sorte quella Edwin Chiloba, attivista venticinquenne, il cui corpo è stato ritrovato abbandonato in una cassa di metallo sul ciglio della strada. Anche lui, peraltro, torturato e strangolato. Il testimone che ha segnalato la presenza dei resti dell’attivista avrebbe dichiarato di aver visto scaricare la cassa da un’auto senza targa. Il movente non sembra ancora essere noto, ma tra i principali sospettati ci sarebbero persone amiche della vittima.
La triste associazione tra attivismo e morte: l’assassinio di Edwin Chiloba in Kenya prova l’indicibile violenza
Edwin giunge a Eldoret da Nairobi nel 2019 per studiare moda. La sua efferata uccisione ha suscitato lo sgomento dei gruppi per i diritti umani, che hanno richiesto alla polizia la massima attenzione. Il responsabile di Amnesty International Kenya, Irungu Houghton, ha infatti richiesto indagini veloci ed efficaci: ”Nessuna vita umana vale meno di un’altra. Tutti devono avere il diritto alla dignità, rispetto e protezione secondo quanto prevede l’articolo 26 della Costituzione. Si deve andare oltre la cattura dei criminali. Per troppa gente ancora la violenza, i pregiudizi che marchiano, sono la norma”
Lo scorso anno lo stesso Chiloba aveva subito un’aggressione in pubblico per il proprio attivismo, da persone poi rimaste impunite. Lo stesso aveva poi postato su Instagram le foto facenti riferimento alle conseguenze di tale violenza.
Si tratta, purtroppo, dell’ennesima ondata di proteste e rabbia da parte di chi vive ai margini di una società omofoba e conservatrice. Si tratta di una società il cui presidente della repubblica ha dichiarato che “La Repubblica del Kenya è un paese che adora Dio. Non abbiamo spazio per i gay o cose simili.” Si tratta di un assurdo stigma che associa attivismo e morte: l’assassinio di Edwin Chiloba in Kenya ne è peraltro il frutto più recente, in un paese dove una persona muore brutalmente per aver detto che “Il mio movimento è per tutti. Si tratta di inclusione. E se ho intenzione di combattere ciò per cui sono stato emarginato, lo farò per tutte le persone emarginate.”
Fonte: africa-express.info