Transgender, quando l’allarmismo diventa un’arma comunicativa. Sono incappato in due video di Abicocca, che abbiamo già conosciuto in un mio intervento precedente. Analizziamoli insieme.
Transgender, quando l’allarmismo diventa un’arma comunicativa
Il primo video commentato da Abicocca nasce come risposta a una narrazione sempre più diffusa, che usa il tema transgender per costruire paura, panico morale e consenso politico. L’incipit è già emblematico: “Netflix è sott’accusa per aver inserito in un cartone animato per bambini contenuti sessualmente espliciti”. In poche parole si mettono insieme tre elementi potentissimi: bambini, sessualità e identità. È una tecnica comunicativa precisa, che non informa ma suggerisce un pericolo. Abicocca lo sottolinea subito, invitando chi ascolta a fermarsi un attimo e chiedersi quanto siano gravi queste parole, “al di là del vostro orientamento politico”. Il punto centrale è proprio questo: l’identità transgender viene deliberatamente confusa con la sessualizzazione, come se esistere fosse già un atto esplicito. È una distorsione che non nasce dall’ignoranza, ma da una strategia che mira a rendere le persone transgender qualcosa da temere, non da comprendere.
Elon Musk, Netflix e il bersaglio transgender perfetto
Nel discorso analizzato, il riferimento a Elon Musk non è casuale. Abicocca lo smonta senza giri di parole: “Ma chi è Elon Musk? Quello che sta facendo la guerra al woke, al gender, perché ha rosicato che la figlia è trans”. Qui il tema transgender diventa il terreno di una battaglia ideologica globale, dove figure pubbliche vengono usate come simboli. Musk non è citato per competenza educativa o culturale, ma come autorità morale improvvisata. Il messaggio implicito è chiaro: se perfino un miliardario “contro il woke” cancella Netflix, allora c’è davvero un problema. Abicocca ribalta il ragionamento e mette in luce l’assurdità: la semplice presenza di una persona transgender in un prodotto diventa “spazzatura ideologica”. Non una scena, non un contenuto, non un messaggio: una persona. È qui che la narrazione smette di parlare di tutela dei minori e inizia a parlare di cancellazione dell’esistenza.
Transgender e il paradosso dell’esistenza vietata
Uno dei passaggi più forti del primo video arriva quando Abicocca porta il discorso alle sue estreme conseguenze logiche. Se una persona transgender è “spazzatura ideologica”, allora cosa succede nella vita reale? “Se tu non vuoi che i tuoi figli vedano contenuti con persone trans, maggior ragione che i tuoi figli parlino con una persona trans”. È un paradosso volutamente disturbante, ma necessario. L’identità transgender viene trasformata in un rischio ambulante, qualcosa da cui i minori andrebbero “protetti”. Questo tipo di discorso non tutela nessuno: isola, disumanizza e legittima l’idea che alcune persone debbano sparire dallo spazio pubblico. Abicocca lo dice chiaramente, con rabbia ma lucidità: “fare propaganda sulla pelle degli ultimi”. Ed è qui che emerge la realtà ignorata da chi grida allo scandalo: le persone transgender sono tra le più esposte a violenza, discriminazione e suicidio, non certo una minaccia per i bambini.
Scuola, bambini e la paura transgender costruita ad arte
Nel secondo video, Abicocca affronta un altro grande cavallo di battaglia: la scuola. La frase iniziale sembra quasi una parodia: “A scuola si dovrebbe insegnare matematica, italiano, storia… invece adesso si parla solo di identità di genere”. Ma il punto del creator è chiarissimo: questo scenario non esiste. Il video incriminato è “un’intervista a Fanpage di una persona adulta”, non una lezione scolastica. Eppure, ancora una volta, il tema transgender viene legato ad un ipotetico bambino di otto anni, definito da Abicocca “il jolly emotivo”. È una tecnica vecchia: evocare l’infanzia per giustificare qualsiasi allarmismo. Nessuno contesta l’educazione al rispetto, a parole, ma appena entra in scena una persona transgender, tutto diventa “propaganda”. Il risultato è una narrazione tossica che trasforma l’inclusione in indottrinamento e la semplice informazione in pericolo.
Transgender, propaganda vera e propaganda inventata
Abicocca non nega che si possa discutere di rappresentazione, forzature narrative o marketing inclusivo. Lo dice apertamente: “Questo concetto lo posso capire e ne possiamo parlare”. Ma qui il punto è un altro. Qui si sta dicendo che “le persone trans non possono esistere, non devono esistere”. È una frase durissima, ma coerente con la logica smascherata nel video. La vera propaganda non è raccontare una persona transgender che parla di sé; la propaganda è costruire un nemico immaginario per raccogliere consenso. È usare parole come “spazzatura ideologica” per disumanizzare. È fingere di difendere i bambini mentre si colpisce una minoranza già fragile. In questo senso, il lavoro di Abicocca non è solo una risposta social, ma un esempio di contro-narrazione necessaria.
Transgender e la responsabilità di chi comunica online
Alla fine, la questione va oltre Netflix, oltre Musk, oltre a diversi video che circolano online. Riguarda la responsabilità di chi parla a migliaia di persone online. Quando si usano termini come “contenuti sessualmente espliciti” accostandoli alle identità transgender, si sta scegliendo di alimentare paura. Quando si evoca la scuola senza che c’entri nulla, si sta scegliendo di mentire. Abicocca chiude con una frase amara, quasi ironica, un trafiletto preso da un altro contenuto: “Sono lusingato”. È l’amarezza di chi vede meccanismi ripetersi sempre uguali. Raccontare queste dinamiche, analizzarle e smontarle è fondamentale, perché il dibattito pubblico sulla realtà transgender non può continuare a essere costruito sull’allarmismo. Le persone transgender esistono, vivono, lavorano, parlano. E non sono propaganda: sono persone.
Ancora una volta si mischiano identità e propaganda. Fosse proveniente dalla comunità stessa! Invece quasi tutte le volte viene dal senso opposto. L’educazione sta diventando come un requisito facoltativo…
Aeden Russo
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