SenzaCri: quando l’identità diventa racconto. In un video di qualche giorno fa pubblicato da Le Iene l* cantante SenzaCri ha espresso un concetto profondissimo d’identità. Ma vediamolo insieme.
SenzaCri: quando l’identità diventa racconto, non spiegazione
SenzaCri apre il proprio video con una frase semplice e potentissima: “Sapete cosa hanno in comune la mia identità e la musica? Anche chi non ne sa niente ne parla“. In poche parole c’è già tutto: l’esperienza di chi vive un’identità non binaria in una società che pretende spiegazioni continue, spesso senza ascoltare. SenzaCri si presenta chiaramente: persona non binaria, pronomi neutro e maschile, identità che non rientra nella dicotomia uomo-donna. Non è una provocazione, non è uno slogan, ma un dato di realtà raccontato con linguaggio chiaro, emotivo, accessibile. Il cuore del discorso non è “convincere”, ma esistere. L’identità, come la musica, non ha bisogno di autorizzazioni. Eppure, come racconta SenzaCri, crescendo l’innocenza del “vivere e basta” lascia spazio alla necessità di giustificarsi, come se l’esistenza fosse lecita solo se approvata. In questo primo frammento emerge con forza il tema della legittimazione: non quella interiore, ma quella sociale. È qui che il racconto personale diventa politico, senza mai perdere delicatezza.
Il corpo, lo sguardo, la sopravvivenza emotiva
Quando SenzaCri parla del corpo che cambia e dell’anima che si fa più piccola, non sta usando una metafora astratta: sta descrivendo un’esperienza comune a moltissime persone trans e non binarie. “Ho stretto il petto fino a farmi male“, racconta, “e mi dicevano: ma così respiri? Ed io non conoscevo altro modo“. È una frase che pesa, perché parla di adattamento forzato, di sopravvivenza, di dolore normalizzato. SenzaCri mette al centro lo sguardo degli altri come elemento disciplinante: solo chi conosce il peso di quello sguardo, dice, impara a non far piangere mai i propri occhi. Qui il racconto si fa universale: non è più solo la storia di una persona non binaria, ma di chiunque abbia dovuto ridursi per essere accettabile. Il corpo diventa un campo di battaglia silenzioso, dove si impara a respirare a metà pur di non disturbare. SenzaCri non cerca pietà, ma restituisce una verità spesso invisibile, con parole che arrivano dritte anche a chi non conosce il linguaggio.
SenzaCri e la “pecora nera”: identità come responsabilità
“Credevo di essere un problema“, dice SenzaCri, “e mi chiedevo perché non potessi essere una pecora bianca“. Questa parte del video segna una svolta: il passaggio dalla vergogna interiorizzata alla consapevolezza. Essere l’anomalia, la pecora nera, non è solo sofferenza, ma anche responsabilità. Non una responsabilità eroica, ma esistenziale: aprire una strada, rendere visibile ciò che prima non lo era. Quando arriva la battuta più ricorrente, «Ah, è non binario? E su che binario viaggia?», SenzaCri risponde con delicatezza e fermezza: “Io viaggio sul mio“. Non chiede permesso, non si giustifica, non semplifica. Aspetta agli arrivi una società capace di una rivoluzione gentile, umana. In questa immagine c’è la forza del discorso: non uno scontro, ma un’attesa attiva. SenzaCri ammette la paura, ma rivendica il coraggio. E soprattutto chiarisce che il coraggio vero è non lasciare indietro nessuno, nemmeno chi oggi non capisce.
I commenti: lo specchio di una violenza normalizzata
Sotto al video de Le Iene arrivano commenti che non sorprendono, ma che colpiscono per la loro violenza esplicita e normalizzata. “A breve vedremo un pride islamico? Poi la sinistra ci spiegherà come fa a difendere entrambi”. Questo commento non parla di SenzaCri, ma usa la sua identità come pretesto per un attacco ideologico più ampio, mescolando islamofobia, complottismo e retorica anti-progressista. È una strategia classica: spostare il discorso, creare un nemico multiplo, evitare il confronto reale con la persona che parla. SenzaCri diventa così un simbolo distorto, un contenitore su cui proiettare paure e rabbia. Non c’è domanda, non c’è ascolto, solo la necessità di ridicolizzare e delegittimare. Questo tipo di commento mostra come l’odio online funzioni per associazioni forzate, non per argomentazioni.
SenzaCri e il mito della “biologia che chiude il discorso”
“Esistono gli uomini, esistono le donne. I binari sono quelli del treno. I pronomi sono quelli che hanno sempre insegnato a scuola. Punto. Period“. Questo commento pretende di essere definitivo, ma rivela tutta la fragilità di chi lo scrive. Ridurre l’identità a una frase perentoria non è forza, è paura del cambiamento. SenzaCri nel video non nega la biologia, non riscrive la grammatica per capriccio, non impone nulla a nessuno. Racconta semplicemente chi è. Eppure, per alcune persone, il solo fatto che esista qualcosa fuori dalla norma è vissuto come una minaccia. Il riferimento ai “binari del treno” è ironico, ma involontariamente rivela il problema: l’idea che esista un solo percorso possibile. SenzaCri, invece, dimostra che la realtà è più complessa, e che la lingua, come la società, evolve perché le persone esistono, non il contrario.
Religione, peccato e controllo dei corpi
“È peccato grave davanti a Dio. Anche se fate finta di ignorare, la legge divina non ammette ignoranza“. Questo commento usa la religione come arma, non come spazio spirituale. SenzaCri non parla di fede, non attacca nessuna religione, non chiede approvazione divina. Eppure viene giudicat* come colpevole davanti a un tribunale morale che non ha mai scelto. È importante dirlo chiaramente: la fede personale non giustifica la violenza verbale né la negazione dell’esistenza altrui. Questo tipo di commento serve solo a ristabilire una gerarchia, dove qualcuno si arroga il diritto di decidere chi è degno e chi no. SenzaCri, con il suo racconto, smonta questa logica senza nemmeno nominarla: esiste, vive, crea musica. Non chiede assoluzioni.
SenzaCri, medicina e il bisogno di ridurre
“No, non sei una persona non binaria. Puoi dire di essere chiunque, un cammello, una sedia, un tombino, ma davanti ad un qualsiasi medico sarai o maschio o femmina“. Anche qui, il discorso viene spostato su un piano tecnico per negare un’esperienza umana. La medicina viene usata come clava, ignorando che da decenni riconosce la complessità del sesso biologico, dell’identità di genere e delle variazioni corporee. Ma soprattutto, si ignora il punto centrale: SenzaCri non sta chiedendo una diagnosi, sta raccontando una vita. Ridurre tutto a una cartella clinica è un modo per disumanizzare. È più facile parlare di corpi che di persone. Più facile classificare che ascoltare.
Stereotipi, orientamento sessuale e confusione forzata
“Chissà perché le persone non binarie guarda caso poi sono anche omosessuali, si vestono da uomo, si acconciano da uomo“. Questo commento dimostra quanto sia ancora diffusa la confusione tra identità di genere ed orientamento sessuale. SenzaCri, come tantissime altre persone, viene incastrat* in uno stereotipo rigido: se non rientri nella norma, allora devi rientrare in un’altra etichetta comoda. È un bisogno di ordine che non tiene conto della realtà. Le persone non binarie non devono “giustificarsi” attraverso il desiderio, l’abbigliamento o l’aspetto. SenzaCri nel video non parla di chi ama, ma di chi è. E questo, evidentemente, per alcuni è già troppo.
Confusione, manipolazione e il rifiuto della complessità
L’ultimo commento che ho preso in analisi parla di “menti confuse”, “persone fragili”, “manipolazione della sinistra”. Ve lo riporto: “O ti piacciono gli uomini o ti piacciono le donne. Il concetto di “non binario” è un’invenzione di una mente confusa. È come quando non sai se vestirti di colori o solo di nero, o se preferisci mangiare il gelato con la panna o senza: è confusione. Ancora di più quando si lascia che l’ambiente circostante e i suoi messaggi invasivi influenzino queste scelte. Persone fragili che si lasciano manipolare, e la sinistra lo sta facendo sempre di più: manipolare i più deboli. Magari potessero andare in un ritiro di silenzio per tre mesi.. vedrebbero che tornerebbero lucidi”. È un discorso paternalista, che nega autonomia e consapevolezza a chi non rientra nei canoni tradizionali. SenzaCri, invece, dimostra l’opposto: lucidità, consapevolezza, capacità di raccontarsi senza odio. L’idea che basti un “ritiro di silenzio” per cancellare un’identità dice molto su chi lo scrive, non su chi lo riceve. La complessità fa paura, e allora la si chiama confusione.
SenzaCri e la musica come ultima parola
Il video si chiude con una frase che è quasi una promessa: “Quando finiranno le parole, continuerà a parlare tutto quello per cui vivo, la musica“. SenzaCri non pretende di avere l’ultima parola nel dibattito pubblico. Sa che le parole finiscono, che il linguaggio stanca, che l’odio fa rumore. Ma sa anche che l’esistenza, l’arte, la musica restano. Questo è forse il messaggio più potente: non tutto deve essere spiegato, difeso, giustificato. Alcune cose devono solo essere lasciate vivere.
Parlare di identità di genere in Italia è ancora complesso, perché vige l’ignoranza più totale. Magari fare della sana e vera educazione sessuale ed affettiva potrebbe arginare tutto questo odio. Invece il solo pensarla fa ancora più terrore.
Aeden Russo
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