La storia queer è come un mostro di Frankenstein, mutilato e ricucito da mani umane.
Il contesto della ricerca sulla storia queer
Per gran parte della storia le società ciseteropatriarcali ha cercato di mantenere il controllo sulla sessualità umana. Michel Foucault riconduce questa ossessione al Cristianesimo e alle pratiche della confessione, che nell’era moderna e contemporanea si sono evolute nella terapia psicanalitica e psichiatrica. La visione cristiana che i piaceri della carne corrispondono a peccato arriva ai giorni nostri come patologizzazione di una sessualità (e identità di genere) non conforme alle norme sociali.
Per quanto a volte sia eccessivamente estrema la posizione di Foucault sulla medicina odierna, ritengo comunque vero che la psichiatria consideri “anomalo” — se non “patologico” — tutto quello che risulta a loro incomprensibile, come le identità transgender. Solo nell’ultima versione del manuale diagnostico (DSM) la disforia di genere viene spostata dal capitolo dei disturbi mentali a uno nuovo sulla salute sessuale. Classificato, poi, come “incongruenza di genere”.
Sfortunatamente l’analisi del contesto che sono in grado di proporre è inevitabilmente incentrata sulle culture e società considerate “Occidentali”, in mancanza di conoscenze approfondite sul Medio Oriente, l’Africa e l’Asia.
Ad ogni modo, questo è il contesto in cui avviene la maggior cancellazione, e mutilazione, della storia queer. In una società che tiene strettamente sotto controllo la sessualità individuale, favorendo unicamente le pratiche riproduttive, non c’è spazio per l’omosessualità, la bisessualità, le identità di genere non conformi e altre ambiguità. La giurisprudenza per vari secoli ha addirittura condannato queste pratiche, considerandole amorali e un pericolo per l’ordine sociale.
L’ambiguità delle fonti storiche
Avviene così che la storiografia queer si fonda su interpretazioni, tentativi di colmare lacune, riempire silenzi e soprattutto su atti giudiziari. Le fonti più sicure disponibili agli storici sono infatti le trascrizioni dei processi per sodomia. “Reato” che in Italia, per altro, venne decriminalizzato nel 1890. Tuttavia, anche queste testimonianze risentono della cultura locale e non sono in grado di rappresentare a fondo la realtà delle persone queer del tempo. Il “reato di sodomia”, infatti, è stato a lungo imputabile solo a uomini. L’omosessualità femminile è stata, invece, considerata impossibile e spesso scambiata per “amicizia romantica”, sfuggendo alle maglie della legge.
Oltre a questi, ciò che resta sono invece poesie, diari, racconti, quadri, sculture e altre opere. Quando andiamo a mettere mano a queste produzioni, il lavoro è spesso quello dell’interpretazione. Di rado questi personaggi erano espliciti riguardo la propria vita privata, probabilmente per paura di una ritorsione legale, della stigmatizzazione da parte della società, oppure ancora per vergogna. Al tempo non esistevano parole per descriversi che non fossero negative e dispregiative.
Emily Dickinson e lo scambio epistolare con l’amica Susan “Sue” Gilbert
Quali elementi devono essere presenti per considerare una persona queer? Io non penso che l’esperienza queer sia unicamente legata al sesso o al corpo, ma anche alle relazioni con gli altri e con sé stessi, è soprattutto una questione di amore. Un esempio chiaro è l’intenso e passionale scambio epistolare che Emily Dickinson ha intrattenuto con la sua presunta migliore amica Susan “Sue” Gilbert. Eccone un estratto:
“Susie, will you indeed come home next Saturday, and be my own again, and kiss me as you used to?… I hope for you so much, and feel so eager for you, feel that I cannot wait, feel that now I must have you — that the expectation once more to see your face again makes me feel hot and feverish, and my heart beats so fast — I go to sleep at night, and the first thing I know, I am sitting there wide awake, and clasping my hands tightly, and thinking of next Saturday… Why, Susie, it seems to me as if my absent Lover was coming home so soon — and my heart must be so busy, making ready for him.”
Non abbiamo prove del fatto che le donne abbiano consumato o meno una relazione sessuale, ma le lettere tra la Dickinson e la Gilbert hanno tutto l’aspetto di una corrispondenza tra amanti, se non di carne, almeno di spirito.
Anne Lister e i tentativi di censura
Per altri personaggi storici è avvenuto un vero e proprio tentativo di censura, come nel caso di Anne Lister.
La Lister è stata un’ereditiera lesbica di metà Ottocento, che prendeva diligentemente nota delle sue relazioni amorose e sessuali sui suoi diari. A volte, addirittura, cronometrando il tempo impiegato dalla partner per raggiungere l’orgasmo. Anne Lister aveva una passione per l’anatomia e la medicina e faceva questo a scopo di ricerca, vista la profonda mancanza di informazioni sulla sessualità femminile. Tutto veniva rigorosamente riportato in un codice crittografico che sta venendo tuttora decifrato. I suoi diari sono rimasti nascosti a lungo, ma quando un suo discendente li trovò e ne decifrò il contenuto, ciò che lesse lo impressionò tanto da occultare di nuovo il reperto. Questo tornò alla luce solo nel XX secolo, quando la mansion diventò patrimonio storico del Regno Unito e i diari vennero aggiunti al registro del programma dell’UNESCO “Memoria del mondo”.
Altre storie vennero date in pasto alle fiamme e non ne è rimasto nulla, solo vuoti da riempire con supposizioni. Neanche questi ritrovamenti sono in grado, però, di mostrarci un quadro preciso della storia dell’omosessualità o dell’identità di genere. La capacità di leggere, scrivere e creare arte, o anche semplicemente il tempo per farlo, infatti, erano privilegi esclusivi delle classi più abbienti come l’aristocrazia e la borghesia. In questo modo veniva preclusa l’esperienza e la testimonianza proletaria, della servitù della gleba, degli schiavi afro-discendenti e di tutte le altre etnie non caucasiche.
L’importanza del ricostruire una storia queer
Molte di queste mancanze non verranno mai colmate e non avremo mai risposta a certe domande. È importante trovare e preservare ciò che è disponibile. Le storie di queste persone sono la dimostrazione della nostra esistenza e la perseveranza nel corso della storia dell’uomo. Mostrano, infatti, che non siamo un’anomalia, bensì una delle tante variabili dell’esistenza umana. È importante conoscere la nostra storia. In questo modo si può sapere da dove veniamo, i passi in avanti che abbiamo fatto, i rischi che potremmo correre se questo progresso si fermasse e facesse marcia indietro.
Riproporre queste storie è un gesto di reazione alla censura e al silenzio che ci è stato imposto da tempi immemorabili. È un modo per dire al mondo che ci siamo, che ci siamo sempre stati e che il resto della società se ne deve fare una ragione e smetterla di nasconderci nel proverbiale closet.
Rachele Vanucci