La detransizione è diventata una parola spesso strumentalizzata, soprattutto da chi vuole attaccare la comunità transgender. Ma cosa significa davvero? Vediamolo insieme.
Detransizione: una parola abusata, una realtà distorta
Si tratta del percorso, rarissimo, in cui una persona trans decide di tornare a identificarsi con il genere assegnato alla nascita. I dati dimostrano che si tratta di casi isolati e complessi, e che le ragioni alla base non sono quasi mai legate a “ripensamenti” sulla propria identità di genere, bensì a fattori esterni, come la transfobia. Nonostante ciò, in Italia come negli Stati Uniti, la detransizione viene agitata come uno spauracchio politico, per limitare i diritti delle persone trans e ostacolare i percorsi di affermazione di genere, soprattutto tra i più giovani.
Numeri che parlano chiaro
Il più grande sondaggio mai realizzato sulla comunità transgender americana, l’U.S. Trans Survey 2022, ha coinvolto oltre 92.000 persone trans e non binarie. Solo il 9% ha raccontato di aver vissuto una detransizione in un momento della propria vita. Ma attenzione: il 41% di questo gruppo lo ha fatto perché era troppo difficile essere trans nella propria comunità, il 37% a causa della pressione dei genitori, e il 33% per molestie e discriminazioni. Solo il 4% ha affermato di aver cambiato idea sulla transizione in sé. Parliamo quindi di uno 0,36% sul totale degli intervistati. Insomma, dietro la detransizione non c’è quasi mai un “errore”, ma una società ostile.
Detransizione e salute mentale: i numeri smentiscono la narrativa
Contrariamente a quanto suggerisce certa retorica politica, la transizione ha effetti molto positivi sulla salute mentale delle persone. Il sondaggio USTS dimostra che chi ha avuto accesso a una transizione sociale o medica riporta livelli più alti di benessere e soddisfazione nella vita. Chi riceve terapia ormonale (98%) o ha affrontato interventi chirurgici (97%) parla di una vita migliore. E i dati lo confermano anche a livello familiare: chi ha il supporto dei propri cari ha meno probabilità di pensare o tentare il suicidio. Ecco perché parlare di detransizione come scelta consapevole e diffusa è una narrazione pericolosa, che ignora i reali bisogni della comunità trans.
Politiche anti-trans: l’effetto domino sulla comunità
In un contesto politico sempre più ostile, il dibattito sulla detransizione si intreccia con leggi e proposte che mettono a rischio i diritti fondamentali delle persone trans. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha promosso centinaia di leggi anti-LGBTQIA+, molte delle quali mirano a negare l’assistenza sanitaria e il riconoscimento legale delle persone trans. L’ultima in ordine di tempo? La Corte Suprema ha confermato il divieto di cure per i minori trans in Tennessee. Intanto, lo stesso governo cancella i dati sulle persone trans dai documenti ufficiali. La detransizione diventa così un alibi politico per giustificare politiche discriminatorie, mentre le vite reali vengono ignorate.
Detransizione come trauma, non come scelta
Ascoltare le testimonianze è fondamentale per capire cosa si cela dietro la parola detransizione. Taylor, Amanda e tante altre persone di quelle intervistate raccontano storie di dolore causato dalla mancanza di supporto, e di rinascita grazie alla transizione. Per molte di loro, la detransizione è stata una parentesi obbligata da un contesto transfobico, non una scelta spontanea. Quando la tua famiglia, la tua scuola, il tuo medico e le istituzioni ti dicono che non esisti, a volte tornare indietro sembra l’unica via. Ma il problema non è la transizione: è l’intolleranza. Parlare di questi dati senza ideologia, con empatia e responsabilità, è l’unico modo per restituire dignità alle esperienze trans e per contrastare l’uso politico e pericoloso del concetto di detransizione.
Prima di argomentare su contesti di cui si sa poco e nulla, suggerirei ai transfobici di turno di andare a studiarsi due testi ed articoli scientifici. Aprono la mente, promesso.
Aeden Russo
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