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C’è bisogno di rappresentanza

C’è bisogno di rappresentanza. Di quella sana, senza secondi fini e non controllata dalle multinazionali. E c’è, fortunatamente, un bellissimo esempio del quale parlare oggi. Ma, in aggiunta, anche tante difficoltà odierne. Vediamole assieme.

Rappresentanza: Ali Riley

Alexandra “Ali” Riley, classe ’87, è una calciatrice statunitense e neozelandese, difensore e capitano dell’Angel City e della nazionale neozelandese. Nell’ultimo torneo, un suo gesto ha raccolto diversi consensi nel mondo calcistico: Ho messo lo smalto con i colori del Pride. Ho fatto l’arcobaleno da un lato e i colori della bandiera trans dall’altro. E ho solo pensato che questo fosse un modo per mostrare ciò in cui credo, e per celebrare la comunità LGBTQIA+ e per mostrare alle persone che le amo, le sostengo e le celebro, anche se non posso indossare questa fascia da braccio”.

Perché c’è bisogno di questo?

Lo scorso anno, a Novembre, il calcio ha mostrato come lo sport non sia per tutti. Infatti, per il Qatar 2022, la fascia a sostegno della comunità LGBTQIA+ “OneLove” è stata abolita. Vietata ai mondiali dalla FIFA, non solo ha previsto multe ma anche ammonizioni. Molte squadre si sono dovute tirare indietro per colpa di questa decisione, team come Inghilterra, Germania e Olanda. Assieme a loro, anche altre quattro squadre hanno dovuto cambiare rotta. Erano anche disposti a pagare la sanzione, ma per le nazionali escludere i giocatori dal campo era troppo.

Cos’ha riscontrato il gesto di Riley?

Riley ha raccontato in un’intervista, in lacrime e commossa, quanto questo abbia significato per lei. “Ho ricevuto un messaggio da una persona che trascorre del tempo in un reparto psichiatrico pediatrico di Auckland, e c’era una bambina, ed era stata ricoverata perché aveva cercato di togliersi la vita. E sono entrati nella sua stanza dopo la partita il giorno dopo, e lei si stava dipingendo le unghie, e le stavano chiedendo cosa stesse facendo. Ha detto: ‘Ieri sera ho visto Ali Riley in TV, e ho visto le sue unghie, e mi ha dato speranza, e non mi sento più sola‘. E sono riusciti a vedere qualcosa cambiarla, hanno visto la luce. E penso che ormai sia stata dimessa. E, sai, mi piacerebbe incontrarla un giorno.

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Così continua il suo racconto

“Mi ha dato così tanta prospettiva”, continua il capitano, “che ancora una volta mi ha aiutato per il resto del torneo quando ero molto delusa e con il cuore spezzato per non essere riuscite a raggiungere il nostro obiettivo di superare il gruppo d’eliminazione. Ma ho solo pensato, wow, l’impatto che abbiamo con la nostra piattaforma e con questo dono e questo privilegio di giocare sulla scena mondiale. Un piccolo gesto può andare così lontano. C’è bisogno di rappresentanza, così come ce la lascia Riley.

Ma anche gli scacchi mettono a rischio

Proprio quando si pensava che la transfobia non potesse essere più ridicola, ora stanno sostenendo che le donne transgender hanno un vantaggio biologico negli scacchi. Esatto. La FIDE, l’Organizzazione Internazionale degli Scacchi, ha pubblicato le linee guida sulla partecipazione delle persone transgender agli scacchi. E queste linee guida affermano che le donne transgender non hanno il diritto di competere nella categoria femminile.

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Quali sono i rischi per queste competitrici?

Se decidi di competere nella categoria femminile e sei transgender, possono trattenerti per un massimo di 2 anni dalla competizione e possono farlo potenzialmente a tempo indeterminato. I regolamenti sono ancora più ridicoli di così però. Hanno, ad esempio, un regolamento che dice: “Se sei un uomo transgender, quindi passi dalla categoria femminile a quella maschile, perdi tutti i tuoi titoli femminili“. Tuttavia, se sei una donna transgender, quindi passi dalla categoria maschile a quella femminile, puoi mantenere i titoli antecedenti.

Non si può andare avanti così

Questa è solo palese misoginia e transfobia. Abbiamo visto diversi attacchi a competizioni non fisiche. Ad esempio, l’anno scorso il biliardo è stato preso di mira: avrebbero impedito alle donne transgender di giocarvi agonisticamente. Abbiamo anche assistito ad attacchi ai concorsi di bellezza, qui in Italia, quando Miss Italia ha vietato alle donne trans di partecipare. Dovrebbe essere chiaro a tutti che queste restrizioni alle partecipazioni e alle competizioni non hanno nulla a che fare con i vantaggi biologici. Ed era chiaro fin dall’inizio che questi sono semplicemente modi per alienare le persone transgender, in particolare le donne, dalla vita pubblica.

Dobbiamo respingere questi tentativi di affermare che le donne trans hanno questi vantaggi in tutto, quando la realtà è che sono sottorappresentate in quasi tutte queste categorie. E dobbiamo continuare a proteggere la comunità LGBTQIA+ intera, includendola in modo sicuro negli sport. C’è bisogno di rappresentanza. C’è bisogno di reagire.

Aeden Russo

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