Votare: perché si devono ancora fare passi avanti

Votare: perché si deve ancora fare passi avanti. Toccheremo marginalmente la questione Referendum, ma vorrei analizzarla da un altro punto di vista. Cosa succede quando una persona transgender varca la soglia dei seggi? Vediamolo insieme.

Votare, nonostante la vita sia piena d’impegni

Nonostante gli impegni lavorativi e privati, da buon cittadino sono andato a votare stamattina. Inutile sottolineare quanto sia importante esprimere la propria opinione, qualsiasi essa sia. I dati parlano chiaro: 22,73% è l’affluenza totale di ieri. Un valore sconcertante, che risalta l’ignoranza del nostro Paese e dove risiedono le priorità dei nostri concittadini. Eppure c’è anche un’altra questione da discutere: le persone trans come se la passano? Vi racconto della mia esperienza.

La gioia di poterlo fare a proprio nome

A Novembre dello scorso anno, durante il Transgender Day of Remembrance, ho potuto ritirare i miei documenti rettificati dopo anni di battaglie legali. Giusto in settimana, invece, la tessera elettorale. Lasciando perdere la quantità del tempo di attesa, alla fine ho potuto esprimere la mia. Mi sono svegliato presto, preso rapidamente tutto e sono uscito di casa. Nonostante avessi lavorato i tre giorni precedenti per 14 ore. O che avessi lezione a prima mattina, con frequenza obbligatoria. Sono sceso e sono andato a votare.

Le discriminazioni che subisce chi va a votare

Una volta giunto al seggio elettorale, io e mio fratello siamo entrati insieme. Il decreto legge elezioni dovrebbe essere stato approvato in via definitiva, perciò basta liste distinte per genere, giusto? “Speriamo si riesca già per il prossimo referendum”, dicevano. La risposta è un no secco. Sono stato, e succede, ingiustamente scambiato per una ragazza e accompagnato alla lista femminile. Nonostante nel plesso non ci fosse quasi nessuno, il mio disagio era palpabile nell’aria. E prima di votare ne ho sentite di tutti i colori.

Le parole hanno un peso

Oltre al fatto che la frase: “Ma la ragazza può votare?” è stata ripetuta un quantitativo tale di volte che mi è salito il conato di vomito. Ma il mio documento d’identità porta una M molto visibile. Che a quanto pare per gli addetti al seggio era troppo invisibile, meglio basarsi sui presupposti e pregiudizi errati dettati dal mio aspetto fisico. Ci sono volute tre persone a guardare la mia tessera e documento. A dirmi che non potevo votare. Poi non ho resistito più.

Votare è un mio diritto, ma anche un momento di dolore

Per cercare di sbrigare la procedura, mi sono girato dall’altra parte esclamando: “Magari è perché sono in quella maschile, e non quella femminile”. Sguardi confusi e straniti. Un silenzio assordante. Poi l’addetto legge il mio nome, dà il consenso al voto e scappo in cabina. Volevo sparire da quella stanza. Sentivo i loro occhi puntati su di me, il mio aspetto, la mia voce. Tutto dava campanelli d’allarme. Votare stava diventando una seccatura. Ho dato i miei cinque sì e sono volato via.

Siamo nel 2025, possiamo fare le cose per bene?

Sulle liste separate superiamo una regola anacronistica”, dice la senatrice del Pd Cecilia D’Elia prima firmataria delle novità inserite durante la discussione del testo in Senato, “che poteva essere anche fonte di discriminazione per persone non binarie o in transizione“. Discriminazione che ho vissuto sulla mia pelle solo per andare a votare. Per dire la mia. Per dare voce a chi non ce l’ha con il mio dovere di cittadino. E questo non può più accadere. Siamo nel 2025.

Perché devo andare a votare?

Ogni giorno una persona transgender vive un disagio nuovo da esplorare. Sa che deve scendere per le strade consapevole che il suo corpo, la sua voce e il suo pensiero valgono di meno. Non che sia vero, ma è un dato di fatto. Ci uccidono, ci umiliano, siamo dimenticati dallo Stato e dai nostri coetanei. Per non parlare dei continui attacchi online. E per alcuni anche votare può essere troppo. Così si evitano questi ambienti, le complicazioni, l’odio implicito e sottinteso nelle parole e nei gesti altrui.

Sono cinque minuti per chi non li ha

Oggi è toccato a me. Anche ad altri fratelli e sorelle transgender, che non hanno modo di dar voce a queste ingiustizie. Porto la mia identità, pensiero e voce per le strade costantemente. Sempre presente, per chi non può più farlo. Per persone come Giorgio, che si è tolto la vita a pochi passi dal mio paesino di provincia perché non ha resistito all’odio trans. Vado a votare per lui, per me, per un futuro dove questa non è normalità, non si accetti più, per vivere dignitosamente. Eppure c’è così tanta strada da fare. Così tante piazze da reclamare.

Votare oggi per un domani migliore

Oggi il referendum è per la vita e la dignità di chi vive e lavora in Italia. Domani potrebbe essere per l’autodeterminazione delle identità transgender. Oggi sono andato a votare per la sicurezza sul lavoro, i risarcimenti e reintegri in caso di licenziamento illegittimo, il porre un freno ai contratti precari, lo smettere di essere riconosciuti come cittadini di serie B dallo Stato in cui vivo, lavoro e pago le tasse da anni. Nel futuro per poter avere i diritti che merito in un Paese che non mi vede.

 

Esercitate i vostri diritti e doveri. Andate a votare. Grazie.

 

Aeden Russo

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