La storia della pallavolista Eleonora Pescarolo riaccende una questione assai lunga, cioè la partecipazione degli atleti (e delle atlete) trans nelle competizioni sportive. Nel mondo sportivo maschile e femminile sono divisi in modo netto e sono stati fissati dei parametri per giocare in una o nell’altra categoria per gli atleti transgender. Queste regole, però, possono provocare delle storture, come è il caso della pallavolista Eleonora Pescarolo, giocatrice della serie C (al momento ancora maschile) della Polisportiva San Nicolò.
La storia di Eleonora Pescarolo
La pallavolista racconta di aver iniziato l’iter di transizione a 15 anni, bloccando così la crescita del volume dei muscoli e della forza fisica. Si è anche sottoposta ad un intervento chirurgico qualche anno fa e continua a praticare lo sport che la appassiona: la pallavolo. Al momento Eleonora è riconosciuta anche dallo Stato come donna, con il suo nome di elezione, ma per giocare a pallavolo nella categoria femminile questo non è sufficiente. Questa situazione ha, purtroppo, portato a casi di sfottò e prese in giro, ma fortunatamente in campo dichiara di aver sempre trovato rispetto. Il suo desiderio è quello di giocare finalmente nella categoria femminile, ma al momento non può per il fatto che la Federazione Italiana Pallavolo richiede che i parametri di testosterone siano sotto una certa soglia per un anno.
Persone transgender e sport: una questione ancora aperta
Il tema dell’inclusione delle persone transgender all’interno degli sport si porta ancora dietro dibattiti e discussioni. Nonostante in molti casi si sia dato direttamente un parametro (il testosterone) per definire chi può giocare nelle categorie femminili e chi no, la soluzione è chiaro che non sia perfetta. Da una parte fornisce un’indicazione chiara e netta, dall’altra provoca diverse storture. Una fra tutte è proprio questo caso, in cui una giocatrice ormai riconosciuta come donna anche dallo Stato, sia costretta a giocare in categorie maschili aspettando che la soglia di testosterone rimanga sotto ad un certo parametro per un anno intero. Dall’altra, invece, c’è il caso della mezzofondista Caster Semenya, atleta intersex che produce naturalmente più testosterone di altre atlete.
A lei era stata messa come condizione quella di doverlo limitare con dei farmaci per poter gareggiare nella categoria femminile. Ormai è sotto gli occhi di tutti come il mondo sia più complesso di quanto crediamo. Si apre un dibattito sull’idea che abbiamo di dividere nettamente tutto in maschi e femmine, uomini e donne. Viene meno l’idea che tra queste due categorie esista sempre una linea netta e invalicabile. In tutto ciò c’è ancora chi si ostina a sostenere che le donne transgender non dovrebbero mai giocare negli sport femminili. Questo atteggiamento è tipico di chi non ha ancora capito che le domande che ora cominciamo a farci sono altre.
Qual è il “confine” che esiste tra uomo e donna? E tra maschio e femmina? Fino a che punto ha senso dividere tutto (lo sport, i bagni, ecc.) in queste due categorie? E se dobbiamo dividere il tutto ancora in categorie, devono essere per forza due? Questa che stiamo vivendo ha tutti i presupposti per essere una fase di transizione verso un cambiamento molto più grande. Storie come quella di Eleonora Pescarolo aprono una questione molto più ampia. Una cosa però è certa: agli atleti e alle atlete trans deve essere data la possibilità di praticare sport a livello agonistico senza essere costretti a rimanere in categorie che non rappresentano ciò che sono.
Fonte: AlFemminile.com; FederVolley.it; SkySport