
Dieci anni fa sembrava una conquista definitiva. Il 26 giugno 2015, la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzava il matrimonio egualitario in tutti i 50 Stati. Ma oggi, con Donald Trump di nuovo al centro del potere, quella vittoria è di nuovo a rischio. Ma vediamolo insieme.
Donald Trump contro la sentenza che ha fatto la storia
Era il 26 giugno 2015 quando la Corte Suprema degli Stati Uniti cambiava per sempre la storia dei diritti civili con la sentenza Obergefell v. Hodges. Quel giorno, ogni Stato americano fu obbligato a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Una rivoluzione legale, ma anche culturale. Oggi, a dieci anni da quella decisione epocale, mentre il consenso popolare verso il matrimonio egualitario resta alto, il clima politico si è nuovamente fatto incandescente. Donald Trump è tornato al centro del potere e, con lui, il rischio concreto che quella conquista venga rimessa in discussione.
Un fragile equilibrio giuridico sotto attacco
La sentenza Obergefell si basa sul Quattordicesimo Emendamento, lo stesso che tutela il diritto all’aborto. Ma, come dimostrato nel 2022 con la cancellazione di Roe v. Wade, nulla è intoccabile. Non serve troppa fantasia per capire dove si sta andando. Donald Trump, durante il suo primo mandato, ha piazzato giudici ultraconservatori nella Corte Suprema. Una mossa che ha avuto effetti devastanti sulla giurisprudenza americana. La stessa strategia potrebbe ora minare anche la sentenza Obergefell. La destra trumpiana lo sa bene: erodere poco a poco, uno Stato alla volta, per poi affondare il colpo finale. Il precedente dell’aborto è un monito: se è successo con Roe, può succedere anche con Obergefell. E Donald Trump non ha mai nascosto la sua simpatia per questa linea di pensiero.
Donald Trump e la nuova crociata contro il matrimonio egualitario
Negli ultimi mesi, diversi Stati a guida repubblicana hanno avanzato proposte per far riesaminare la legittimità del matrimonio egualitario. Texas, Idaho, North Dakota, solo per citarne alcuni. Risoluzioni simboliche, per ora. Ma strategiche. Perché servono a preparare il terreno a un nuovo attacco legale, un po’ come accadde con le leggi anti-aborto prima del colpo di grazia a Roe. Donald Trump, dal canto suo, non ha preso una posizione ufficiale, ma il silenzio vale quanto una dichiarazione. Intorno a lui si muovono organizzazioni religiose estremiste e think tank ultraconservatori che lavorano nell’ombra. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è di nuovo un fronte attivo e Donald Trump, anche senza parlare, è il volto riconoscibile di questa offensiva.
Una minaccia più ampia della sola Corte Suprema
Ma non si tratta solo di giudici. La minaccia portata da Donald Trump e dal movimento politico che guida è più estesa. Si muove su più piani: legislativo, culturale, sociale. Nelle scuole, nei tribunali, nei media. È una macchina ideologica ben organizzata che ha imparato dal passato. Ed è pronta a rifarlo. Se c’è una cosa che le destre hanno capito è che per cancellare un diritto non serve farlo dall’oggi al domani. Basta renderlo fragile, attaccabile, opzionabile. E il matrimonio egualitario potrebbe essere la prossima tessera a cadere. Donald Trump, con il suo stile ambiguo e le sue alleanze con l’ultradestra religiosa, è il catalizzatore di questa visione. E i segnali sono tutti lì, sotto i nostri occhi.
Donald Trump e l’illusione della sicurezza acquisita
Molti pensano che il matrimonio egualitario sia ormai una conquista solida, intoccabile. Ma la storia recente dice il contrario. I diritti, quando non sono difesi quotidianamente, diventano precari. E quando una figura come Donald Trump torna al potere, con tutto l’arsenale ideologico e giudiziario che si porta dietro, ogni conquista va considerata a rischio. Le parole Love is love sono ancora vere, ma oggi sembrano più uno slogan nostalgico che una realtà garantita. Difendere quel diritto significa riconoscere che Donald Trump e le forze che lo sostengono non sono un’ombra del passato, ma un pericolo molto presente. Nessun diritto è eterno. E questa è una lezione che la comunità LGBTQIA+ conosce fin troppo bene.
La scia d’odio nel Pride Month
Il mese di Giugno, storicamente dedicato all’orgoglio e ai diritti LGBTQIA+, sta assumendo contorni sempre più cupi. L’aria di festa e rivendicazione si sta spesso trasformando in un bollettino di episodi discriminatori. Proprio nei giorni in cui si celebra l’inclusione, in Italia come negli USA, assistiamo a nuove manifestazioni d’odio. È un clima che trova sponda anche nel vento internazionale che soffia da destra, e che in parte porta il nome di Donald Trump, simbolo e motore di una retorica aggressiva verso le minoranze. L’ultimo episodio, accaduto a Vicenza, è solo la punta dell’iceberg di una tensione sociale che cresce, alimentata da narrazioni che criminalizzano la differenza.
Vicenza, insulti dopo il Pride e clima di paura
Lo scorso 7 Giugno, a margine dell’evento Plaid for Pride in Piazza dei Signori a Vicenza, due giovani, tra cui un ragazzo transgender, sono stati vittime di gravi insulti omofobi e transfobici. L’evento, organizzato per celebrare il Pride Month, si è trasformato per loro in un’esperienza di paura e isolamento. Mentre tornavano a casa, un gruppo di coetanei li ha presi di mira con offese e minacce, a pochi metri da un’iniziativa dedicata alla visibilità LGBTQIA+. Anche in Italia, il clima acceso e polarizzato, alimentato da derive politiche internazionali come quella incarnata da Donald Trump, trova terreno fertile e si traduce in episodi concreti di odio e discriminazione.
Donald Trump e il linguaggio che legittima l’odio
Il linguaggio politico ha un peso, e quello di personaggi pubblici come Donald Trump ha spesso l’effetto di legittimare comportamenti aggressivi. La retorica che descrive la comunità LGBTQIA+ come una minaccia all’ordine, alla famiglia o ai valori tradizionali crea un ambiente tossico. A Vicenza, come altrove, non è un caso che l’aggressione verbale sia avvenuta in un contesto di festa: è proprio lì che l’odio si manifesta per reprimere la visibilità. Il ragazzo aggredito ha raccontato anche un precedente episodio simile avvenuto pochi giorni prima, segno che non si tratta di un fatto isolato ma di un pattern sempre più frequente.
Solidarietà locale, ma il clima resta teso
Nonostante tutto, ci sono realtà che si attivano. Arcigay Vicenza e il collettivo Gaga Vicenza sono intervenuti subito per offrire supporto ai due giovani aggrediti. La solidarietà si è riversata anche online, con post di denuncia e prese di posizione da parte della comunità. Ma il giovane protagonista dell’episodio ha espresso una profonda amarezza: voleva vivere il Pride come un momento di forza e libertà, e invece si è trovato a fronteggiare insulti e paura. Il contesto globale, segnato anche dal ritorno sulla scena politica di Donald Trump, rende ancora più urgente riflettere su quanto accade nei nostri territori.
Donald Trump, la sicurezza e la percezione del pericolo
Vicenza non è nuova a problematiche legate alla sicurezza urbana, soprattutto nella zona di Campo Marzo. Ma quando il pericolo percepito non è solo legato alla microcriminalità, ma anche all’intolleranza, la questione cambia tono. Le persone LGBTQIA+ devono sentirsi al sicuro negli spazi pubblici, specialmente durante momenti di visibilità come il Pride. L’episodio del 7 Giugno, anche se non denunciato formalmente, è un segnale chiaro di quanto ci sia ancora da fare. E quando leader politici come Donald Trump legittimano pubblicamente la discriminazione, anche a migliaia di chilometri di distanza, l’onda lunga arriva fin qui, insinuandosi nei vicoli delle nostre città.
Difendere i diritti LGBTQIA+ oggi significa vigilare, denunciare e resistere.?Donald Trump?e le destre reazionarie non minacciano solo leggi, ma la libertà di esistere. Per questo, ogni Pride è ancora – e sempre – una forma di lotta.
Aeden Russo
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