fbpx

Watchmen: un ottimo adattamento che maschera le inquietudini del presente

 

Iniziamo con il dire che Watchmen è un sequel, infatti, è ambientato circa trent’anni dopo la fine del fumetto. Siamo a Tulsa, Oklahoma, in un 2019 alternativo: la tecnologia si è sviluppata in modo diverso, non esistono cellulari ne Internet, solo cercapersone. E’ però possibile risalire al proprio albero genealogico in poco mosse; il presidente degli Stati Uniti è Robert Redford, eletto nel 1992 e rimasto in carica; i supereroi sono fuorilegge e la polizia è una squadriglia di vigilanti che opera a volto coperto: nessuno sa chi ci sia dentro le maschere gialle dei poliziotti.

Per proteggere l’incolumità degli agenti, se sei un poliziotto non puoi dirlo a nessuno, devi avere un secondo lavoro e un nome d’arte. In pratica, ti comporti come un supereroe, pagato però dallo Stato. Alcuni di loro lo sembrano davvero: hanno nomi di battaglia altisonanti (Red Scare, Looking Glass, Sister Night), costumi – certi più curati di altri – e una vaga parvenza di superpoteri.

La misura cautelare è nata in seguito all’evento noto come “Notte Bianca”, una strage di poliziotti compiuta nella mezzanotte di Natale di tre anni prima da parte un gruppo di suprematisti bianchi che si fa chiamare Il Settimo Reggimento. L’organizzazione, che ha preso il vigilante Rorschach come modello di riferimento, ne indossa la maschera e ne adora i feticci (il suo diario, le sue metodologie), era stata sradicata ma sembra essere tornata in attività dopo che un uomo mascherato da Rorschach ha crivellato di colpi un poliziotto in servizio.

L’attentato porta il commissionario della polizia Judd Crawford (Don Johnson) a chiamare la detective Angela Abar (Regina King) affinché indaghi. Angela era stata ferita durante la Notte Bianca ma ha ripreso a svolgere il lavoro di investigatrice, usando la nuova attività di pasticcera come copertura.

Queste sono le premesse di una trama che, a prima vista, non sembra contenere molto del fumetto. In realtà, Lindelof e i suoi optano per un lento svelare i vari allacci al testo di Moore e Gibbons.

 

Il Watchmen televisivo è un grande gioco di ribaltamenti, delle aspettative e delle consuetudini. Lindelof prende Watchmen e lo fa a pezzettini, per poi nascondere quei pezzettini tra le pieghe delle scene.

Se Moore ricontestualizzava eventi bui del Novecento americano come la guerra del Vietnam, Lindelof e gli sceneggiatori prendono un altro momento critico per il paese e lo imbastiscono nella trama: le violenze razziali avvenute a Tulsa nel 1921, una tragedia a lungo taciuta, volutamente dimenticata che fece emergere il profondo razzismo della nazione. Invece del fumetto dentro al fumetto I racconti del Vascello Nero c’è la serie tv dentro la serie tv (Real American Story, una docu-fiction sui Minutemen infarcita di whitewashing e bugie come lo era il memoir di Hollis Mason Sotto la maschera nel fumetto).

Watchmen  per Lindelof è una scusa per parlare d’altro: di supereroi nel senso più largo possibile (nella finzione, chiunque si è appropriato di un’immagine – o di un immaginario – distorcendone il senso, facendone un orpello estetico, asservendolo ai propri scopi e il senso di supereroismo è migrato verso altri – per ora imperscrutabili – lidi), razzismo, suprematismo, eredità culturale, informazione.

 

I personaggi sono ossessionati dal concetto di generazioni, di eredità, del tipo che hanno e che vogliono lasciare ai posteri. Si vuole provare a fare i conti con gli effetti di una bufala che ha salvato il mondo, una nozione che colpisce più oggi, nell’era delle fake news, che non trent’anni fa.

Watchmen non è uno show particolarmente appariscente o stilizzato. Il giallo e il viola che contraddistinguevano la palette di John Higgins (il colorista di Watchmen) sono sparsi nella scenografia senza forzare troppo. Tutto è immerso nel buio – e questo rende le poche scene illuminate particolarmente accecanti – e c’è buona tensione, grazie all’insistente uso della lente bifocale che tiene a fuoco tanto il primo piano quanto lo sfondo e alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, compositori di sonorità elettroniche.

Lindelof non fa che mettere sullo schermo i propri intenti. Come il Settimo Reggimento, scoperto dalla polizia a smembrare orologi, smistandone ogni componente in un secchio – le batterie da una parte, le casse dall’altra, i cinturini in un’altra ancora – ha smembrato Watchmen, ne ha preso le componenti che preferiva e ci ha giocato come meglio credeva, ottenendo un ottimo risultato.

Serie tv assolutamente da guardare, se appassionati dal genere supereroi.