Famiglia e libertà di espressione

Famiglia e libertà di espressione. Cosa significa proteggerla nella piena libertà delle proprie idee e convinzioni? Vediamolo insieme.

Famiglia “tradizionale”: il compleanno virale del figlio di Pedro

Nel weekend scorso una foto ha fatto il giro del web, diventando virale in poche ore. Un bambino di otto anni, Mark, festeggia il suo compleanno con un enorme sorriso, una torta a tema Lilo e Stitch e in testa un diadema scintillante. Nulla di più innocente e gioioso. Ma quel piccolo gesto di libertà ha scatenato un’ondata d’odio sui social. Mark è il figlio di Pedro Rodríguez, calciatore della Lazio ed ex di squadre come Chelsea, Barcellona e Roma. Eppure, non sono stati i meriti sportivi del padre a far parlare, bensì la tranquilla felicita di una famiglia che ha deciso di lasciare che un bambino sia semplicemente un bambino.

Un compleanno qualunque diventato caso mediatico

La foto di Mark è tenera, dolce, quotidiana. Ma sui social è bastata quella coroncina per far scatenare il peggio. Commenti violenti, transfobici, sessisti. “Come cazzo è vestito?“, ha scritto qualcuno. E ancora: “Il mondo è al contrario“, citando, forse non a caso, il discusso ex generale Roberto Vannacci. In mezzo a questa bufera, Pedro ha deciso di non rimuovere il post, ma semplicemente di disattivare i commenti. Una scelta chiara: mostrare che l’odio è il problema, non un bambino felice. La foto rimane lì, in bella vista. E diventa un potente messaggio sulla libertà di essere, di scegliere, di esistere in una famiglia che protegge e non giudica.

Famiglia significa anche lasciare spazio all’infanzia

Quella di Mark non è solo una storia virale, è anche un racconto sull’infanzia. Un momento della vita in cui tutto dovrebbe essere semplice, colorato, fatto di giochi e sogni. E invece, quando un bambino esprime qualcosa fuori dagli stereotipi imposti, diventa bersaglio. La società è ancora così rigida da non riuscire a sopportare la vista di una coroncina su una testa che non sia “autorizzata”. Ma l’infanzia non ha genere. L’infanzia ha solo il diritto di essere vissuta pienamente, con il supporto di una famiglia che sa accogliere, non reprimere. In quel diadema, Mark ci ha mostrato il coraggio di essere se stessi. E Pedro, con un solo clic, ci ha ricordato cosa vuol dire essere genitori presenti.

Quando l’amore buca la bolla social

In un’epoca in cui i social ci mostrano solo ciò che vogliamo vedere, la foto di Pedro ha rotto gli schemi. Ha bucato la bolla. Ha raggiunto un pubblico che, come sottolineato da molti utenti, nessun attivista LGBTQIA+ avrebbe potuto coinvolgere. E proprio questo rende la foto di Mark un piccolo, grande atto politico. Perché in fondo ogni gesto pubblico in favore della libertà, anche involontario, lo è. Una famiglia visibile che non ha paura di essere se stessa può cambiare più cose di mille discorsi teorici. E se anche solo una persona ha cambiato idea guardando quel post, allora ne è valsa la pena.

Famiglia e rappresentazione: perché conta mostrarsi

Certo, resta aperto il dibattito sullo “sharenting“, l’esposizione dei minori online. Tema legittimo e complesso. Ma qui forse la domanda giusta è: cosa ha fatto davvero male a Mark, la foto o i commenti? L’immagine lo mostra felice, spensierato. Non c’è nulla di forzato o di costruito. Eppure, qualcuno ha sentito il bisogno di intervenire con parole violente. Questo ci dice che il problema non è la presenza dei bambini online, ma il modo in cui gli adulti reagiscono alla loro libertà. Una famiglia che decide di condividere un momento così, con leggerezza e amore, non va attaccata, ma compresa. E forse imitata.

Un gesto piccolo, un impatto enorme

Quella coroncina non dice nulla sull’identità di Mark. Ma dice moltissimo sulla sua felicità. E sul fatto che quella felicità sia protetta, non negata. In fondo, tutto si riduce a questo: riuscire a costruire un ambiente in cui l’unico parametro sia il benessere di chi amiamo. Pedro non ha fatto proclami, non ha spiegato, non ha reagito con rabbia. Ha solo fatto silenzio. E quel silenzio ha parlato più di mille post. Perché una famiglia che non ha nulla da nascondere è già un esempio di resistenza all’odio.

Famiglia e cultura del rispetto: partiamo dai più piccoli

La cultura del rispetto si insegna partendo dai più piccoli. Dai compleanni con le torte a tema Disney, dai sorrisi genuini, dai diademi presi in prestito. Chi vede un problema in tutto questo dovrebbe farsi qualche domanda. I bambini sono specchi delle nostre paure e delle nostre libertà. Proteggerli significa lasciare che esplorino, che provino, che sbaglino. Una famiglia che sa mettersi da parte per lasciar spazio a questa esplorazione sta già facendo qualcosa di straordinario. Ed è proprio questa straordinarietà a dover diventare normalità.

Ohana vuol dire famiglia, e la famiglia vuol dire accoglienza

Ohana significa famiglia. E famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato“, diceva Stitch. In questa frase, oggi più che mai, c’è la chiave di tutto. Mark ha avuto la fortuna di nascere in una famiglia che non ha avuto paura di dire al mondo: lo vedete com’è felice? E noi siamo felici con lui. Ogni bambino merita questo. Non giudizi, non proiezioni, non odio. Solo supporto, solo amore. E se ci fermassimo un attimo a guardare quella foto con gli occhi giusti, ci accorgeremmo che non parla di coroncine, ma di libertà. E chi ha paura di tutto questo, forse ha solo paura dell’amore libero e vero, quello che si respira dentro una famiglia che sceglie ogni giorno la felicità, la cura e il rispetto.

Cosa vi fa più paura: la felicità di un bambino con un diadema, o l’odio indiscriminato online nei confronti di un innocente? Scegliete voi cosa dovrebbe essere protetto e legittimato.

Aeden Russo

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