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Medicalizzazione dell’omosessualità: una diagnosi, molte vite. Ecco perché il 17 maggio è la giornata mondiale contro l’omofobia

Oggi, 17 Maggio, è la Giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia, la lesbofobia e la transfobia. La ricorrenza è riconosciuta dell’Unione Europea e dalle Nazioni Unite e si celebra, dal 2004, il 17 Maggio di ogni anno.

Sebbene oggi, in alcuni paesi e per alcune persone, potrebbe sembrare naturale che i diritti fondamentali vengano riconosciuti ai membri della comunità LGBT+, le cose non sono sempre state così. La storia della comunità arcobaleno è infatti travagliata. Tutt’ora, anche nei paesi occidentali, siamo lontani dal raggiungere il pieno riconoscimento del diritto di queste persone ad esistere fuori dai binari del tradizionalismo. I fatti di cronaca, purtroppo, ce lo dimostrano frequentemente.

In questo articolo ripercorreremo le tappe che ci hanno condotto dove siamo oggi. Un modo per ricordare a tutt* quanto una giornata che sottolinei l’importanza di questi temi sia fondamentale ancora oggi.

Giornata mondiale contro l’omofobia: antichità, una tendenza naturale

Testimonianze di amore tra persone dello stesso sesso sono riscontrabili all’interno di quasi tutte le civiltà antiche. La prima coppia omosessuale di cui si ha notizia risale all’antico Egitto. Khnumhotep e Niankhkhnum, due giovani egiziani, vissero alla corte del faraone Niuserra intorno al 2400 a.C. Furono sepolti in una tomba comune, decorata con affreschi che li ritraggono intenti a baciarsi sul naso, una posizione molto intima nell’antica arte egizia.

Celebri sono poi i riferimenti all’omosessualità nell’antica Grecia, come quelli riguardanti Alessandro Magno, Socrate e la poetessa Saffo.

Anche l’esistenza e l’accettazione sociale di persone transgender e di tutti i rappresentanti del cosiddetto “terzo genere” è stata documentata in culture provenienti da tutto il globo. Ecco una mappa delle culture polygender nel mondo.

In tempi antichi, l’omosessualità accompagnava e talvolta precedeva il matrimonio, che era un’istituzione volta a garantire vantaggi di tipo materiale e in cui l’amore tra consorti non era previsto come elemento necessario. Il cambio di mentalità si ebbe nel passaggio tra la cultura ellenistica e quella cristiana.

Crimine contro la morale

Con l’avvento del cristianesimo iniziò la repressione di quei comportamenti sessuali ritenuti essere peccati contro Dio e contemporaneamente crimini perseguibili dalla pubblica autorità. Per secoli le persone accusate di sodomia vennero arrestate, torturate e uccise in nome della morale cattolica e del pubblico decoro.

In Europa, un grande miglioramento ebbe luogo con la Rivoluzione Francese, che abolì le corti ecclesiastiche e diminuì le pene per i cosiddetti “delitti senza vittima”. Il Codice Napoleonico del 1810, ad esempio, non prevedeva pene specifiche per gli atti omosessuali, se compiuti in privato e tra adulti consenzienti.

Ma questa parentesi virtuosa era destinata a durare poco. Stava iniziando, infatti, la lunga storia della medicalizzazione dell’omosessualità, che avrebbe determinato per le persone LGBT+ il passaggio dalla padella delle carceri alla brace dei manicomi.

Medicalizzazione dell’omosessualità

Nel corso del 1800 la medicina e la psichiatria si interessarono sempre più di omosessualità. Sebbene il ricovero in istituti psichiatrici non fosse la regola per le persone omosessuali, l’”inversione sessuale” era uno dei motivi che poteva giustificare il ricovero e, purtroppo, molte di loro furono rinchiuse per anni.

 

Ritratto di un uomo di 37 anni internato in manicomio per le sue tendenze omosessuali, 1838.

 

Il medico tedesco Karl Wesphal (1833-1890) fu il primo a parlare, nel 1869 di “attrazione sessuale inversa”. Egli riteneva che essa dovesse essere trattata dalla medicina e non dalla legge penale. Successivamente, il neurologo francese Jean Martin Charcot (1825-1893) adottò anch’egli questa terminologia, descrivendo casi di “inversione del senso genitale” e collocando l’omosessualità nel campo delle perversioni sessuali. Charcot lavorò in seguito con Sigmund Freud, che utilizzò poi gli stessi termini per riferirsi all’omosessualità.

Lo scritto che forse influenzò maggiormente quel periodo fu  “Psychopathia Sexualis” (1886) del neurologo tedesco Richard von Krafft-Ebing. Il testo introdusse molti termini nella classificazione dei disturbi sessuali come “sadismo” e “masochismo” e, pur non utilizzando per primo la parola “omosessualità”, la rese popolare affermandosi come una vera e propria enciclopedia della sessualità.

La psicanalisi

Nel corso del XX secolo, con l’avvento della psicoanalisi, considerò l’omosessualità come un blocco ad una fase immatura dello sviluppo psicosessuale. Egli riteneva che l’omosessualità potesse essere il naturale risultato di un normale sviluppo in persone che non avevano altri segni di psicopatologia. Un piccolo passo avanti rispetto alla visione del crimine contro la morale o della patologia psichica invalidante.

Tuttavia, questa “teoria dell’immaturità” continuò a giustificare gli scellerati tentativi di “sbloccare” lo sviluppo delle persone verso “una più matura eterosessualità”, sebbene Freud stesso esprimesse pessimismo circa l’efficacia delle terapie di conversione sessuale.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo le teorie sull’omosessualità si basavano su un modello dicotomico della natura umana. Il presupposto era che qualche qualità tipica di un genere si manifestasse in una persona di un altro genere (da qui il termine “inversione”). Oggi sappiamo che l’ampia gamma della sessualità umana non può essere ridotta a questa visione.

Giornata mondiale contro l’omofobia: Il manuale diagnostico dell’APA

Nel 1952 l’omosessualità fu ufficialmente classificata come disturbo mentale nel primo DSM, ovvero il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’APA (American Psychiatric Association), considerato ad oggi il manuale scientifico di riferimento per i professionisti della salute mentale di tutto il mondo occidentale. Da allora, si è giunti alla quinta versione del DSM e progressivamente la comunità scientifica ha accettato l’omosessualità come una variante non patologica del comportamento umano. Ecco una sintesi delle tappe fondamentali di questo percorso:

  • Il DSM-1 colloca l’omosessualità tra i disturbi sociopatici di personalità.
  • Il DSM-II, pubblicato nel 1968, classifica l’omosessualità come una deviazione sessuale, al pari della necrofilia e della zoofilia.
  • Iniziano i confronti tra gli attivisti gay e l’APA riguardo alla posizione di quest’ultima sull’omosessualità. Ci furono una serie di incontri drammatici tra gli attivisti e gli psichiatri ai convegni annuali dell’APA tra il 1970 e il 1972. L’opposizione agli attivisti fu forte da parte di alcuni membri dell’associazione, ma nel corso degli anni il numero di psichiatri che supportavano la visione degli attivisti crebbe. Nello stesso periodo in Italia la Manifestazione di Sanremo (1972) rappresentò la prima protesta pubblica di omosessuali nel nostro paese.
  • Giunti al DSM-III, nel 1973, finalmente la diagnosi viene rimossa dal manuale e dichiarata come un orientamento sessuale e, quindi, un elemento non patologico della psiche personale. Tuttavia rimase la diagnosi di omosessualità egodistonica, cioè come condizione la persona percepisce come fonte di sofferenza.

Il mondo stava lentamente intraprendendo un percorso di apertura e accettazione delle persone non eterosessuali. Questo anche grazie agli studi pioneristici di molti studiosi ed attivisti, fra cui A. Kinsey, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo.

L’eliminazione definitiva della diagnosi di omosessualità dai sistemi di nosografia psichiatrica avvenne, finalmente, nel 1990. Ed è proprio il 17 Maggio di 31 anni fa l‘Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che omosessualità, eterosessualità e tutto quello che si trova in mezzo sono varianti naturali della sessualità e dell’affettività umana. Si dovrà aspettare il 2018 perché lo stesso avvenga per la transessualità.

Un obiettivo di civiltà

Considerare l’omosessualità come una malattia mentale che ha un effetto sul comportamento sociale degli individui ha un effetto devastante sulla vita e sulla percezione che le persone hanno di sé e contribuisce a giustificare la marginalizzazione, la stigmatizzazione e l’esclusione degli omosessuali dalla vita pubblica.

Concludiamo riportando le parole che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronunciò in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia del 2013:

«Come ho più volte ribadito la denuncia e il contrasto all’omofobia devono costituire un impegno fermo e costante non solo per le istituzioni ma per la società tutta»

 

Sara de Sio
Si ringrazia giuditta_san per le illustrazioni originali.

 

Riferimenti: