L’Italia è al 33esimo posto su 49 in Europa, per quanto riguarda i diritti LGBT+. L’ILGA, ovvero l’International Lesbian Gay Trans and Intersex Association, ogni anno stila una mappa dei vari Paesi per quanto riguardi leggi e politiche nei confronti delle persone arcobaleno. Anche quest’anno, nella nuova mappa, il nostro Paese continua a ricoprire gli ultimi posti del ranking europeo: appena 25 punti totalizzati su 100. Vediamo quindi com’è la situazione nel nostro Stato e come mai è così in fondo rispetto a tanti altri.
L’unica nota positiva: la società civile
Partiamo con l’unico aspetto positivo in quella che è l’analisi dell’ILGA: la società civile. In Italia, infatti, si tengono eventi pubblici a sostegno dei diritti LGBT+, senza particolari ostacoli. Le associazioni possono operare senza grossi problemi, così come i loro attivisti. Non ci sonono, inoltre, ostacoli legali che limitano libertà di espressione per quanto riguarda il sostegno delle cause LGBT+. Questa è una delle poche sezioni nell’analisi ILGA in cui il nostro Paese si dimostra civile e aperto. Le altre, invece, sono note dolenti.
Diritti LGBT+ assenti per le persone intersessuali
Partiamo quindi con le note dolenti: riconoscimento dei diritti delle persone intersessuali. Una persona intersessuale sostanzialmente è un individuo le cui caratteristiche sessuali primarie e secondarie non rientrano strettamente in quello che si definisce “maschio” o “femmina”. Una delle principale battaglie per i diritti delle persone intersex riguarda il campo medico.
È ancora pratica diffusa in diversi Paesi, tra cui l’Italia, sottoporre bambini ad interventi chirurgici non necessari. Lo scopo di questi interventi è semplicemente quello di “allineare” le caratteristiche sessuali delle persone intersex ad uno schema o totalmente maschile, o totalmente femminile. Il problema di questi interventi è che spesso vengono eseguiti senza il consenso dei bambini, oppure senza averli informati adeguatamente delle conseguenze.
L’ILGA, analizzando le politiche e le leggi italiane volte ad assicurare l’integrità dei corpi delle persone intersex in Italia, ha attribuito al nostro Paese zero punti. Non esistono infatti leggi o politiche che le tutelino. Non c’è alcun divieto di eseguire interventi necessari su bambini prima che questi possano esprimere un consenso informato. Sono assenti totalmente meccanismi di monitoraggio di questa situazioni. Non ci sono sistemi ad hoc a cui le vittime di questi interventi non consensuali si possono appellare. Zero totale.
Diritti LGBT+ per le persone transgender? Alcuni problemi con la transizione
I diritti che si rivolgono alle persone transgender sono diversi, ma una parte importante è certamente tutto ciò che riguarda il riconoscimento legale del loro genere e la transizione. In questi aspetti il nostro Paese ha sicuramente fatto dei passi avanti: ci sono infatti procedure legali e amministrative per cambiare il sesso sui documenti e anche il nome. La Corte Costituzionale nel 2015 ha poi reso possibile la transizione anche senza intervento chirurgico e/o sterilizzazione.
Nel 2019 il tribunale di Genova ha reso possibile il cambio di genere anche ad un minore e ora la giurisprudenza si è orientata verso questo approccio. Ci sono quindi anche delle procedure di riconoscimento del genere pure per i minori. Sostanzialmente sono le stesse degli adulti, con la differenza che la motivazione deve essere presentata da entrambi i genitori.
Tuttavia, ci sono ancora diverse cose che mancano: non c’è alcun riconoscimento legale per le persone non binarie, prima di tutto. Inoltre, una persona trans che è sposata con una persona di sesso opposto ed effettua una transizione non può rimanere sposata. Al massimo si può trasformare il matrimonio in una unione civile. Per finire, attualmente è ancora necessaria una diagnosi medica per il riconoscimento legale di un altro genere, continuando quindi a patologizzare le persone trans.
Diritto d’asilo? Solo in parte
Non si fa molto nemmeno per il diritto d’asilo delle persone LGBT+. Nonostante sia riconoscimento legalmente il diritto d’asilo per le persone perseguitate nel loro Paese d’origine per l’orientamento sessuale o l’identità di genere, lo stesso riconoscimento non c’è per le persone intersessuali. Sono poi totalmente assenti politiche e misure specifiche in questo senso.
Leggi e politiche per i crimini d’odio? Non trovate
Uno degli aspetti che pesa di più sullo scarso punteggio italiano nella mappa dell’ILGA è la totale assenza di leggi e politiche per i crimini d’odio. Non ci sono infatti leggi specifiche per crimini d’odio per l’orientamento sessuale, l’identità di genere o per le persone intersessuali. La legge che era in Parlamento fino a un po’ di mesi fa è stata affossata e attualmente ancora non sappiamo che fine farà.
Diritti LGBT+ e famiglia non vanno d’accordo in Italia
I diritti LGBT+ per quanto riguarda l’ambito della famiglia sostanzialmente non ci sono. L’unica cosa che è stata ottenuta sono le unioni civili del 2016, da quel momento in poi zero assoluto. Manca ancora un vero e proprio matrimonio egualitario. Assente la possibilità di adottare per le coppie dello stesso sesso. Inesistente la possibilità di accedere all’inseminazione artificiale per le coppie dello stesso sesso. Non pervenuto il riconoscimento automatico del co-genitore per le coppie dello stesso sesso. Manca sostanzialmente quasi tutto.
Uguaglianza e non discriminazione? Anche qua siamo indietro
Sostanzialmente in questa sezione ci sono solo due cose che vanno bene. La prima: non proibiamo alle persone LGBT+ di donare sangue. La seconda è che abbiamo una legge specifica contro le discriminazioni sul lavoro per l’orientamento sessuale (ma non per l’identità di genere). Cosa manca? Tutto il resto.
Solo 7 regioni italiane hanno leggi anti-discriminazione: Umbria, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Liguria, Marche e Sicilia. Le terapie di conversione non sono ancora state bandite. Non ci sono istituzioni specifiche che si occupano di temi contro la discriminazione per l’orientamento sessuale, l’identità di genere o verso le persone intersessuali. Abbiamo l’UNAR, ovvero l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ma come dice il nome non lavora sistematicamente su questi argomenti.