Una delle battaglie che più è stata (e ancora è) portata avanti dall’attivismo queer italiano è quella per il riconoscimento legale, culturale e sociale di forme di famiglia che deviano dal modello imposto che viene definito come “famiglia tradizionale”. Per quanto questa battaglia sia ben lontana dall’essere vinta (e sicuramente non ci possiamo aspettare che accada sotto l’attuale governo), quanto meno il grande pubblico ha preso coscienza dell’esistenza di forme “alternative” di familiarità e genitorialità.
O almeno, questo per quanto riguarda concetti come l’omogenitorialità. Molto meno affrontata è invece la questione delle varie forme della genitorialità trans, sia essa biologica o meno. Anzi, in italiano è difficile trovare materiale che vada oltre a quello prodotto dallo stesso attivismo o da una stampa scandalistica al limite del feticizzante. A questo si aggiungono anche problemi legali, dovuti ad un sistema che è tornato ad imporre le diciture “madre” e “padre” sui documenti. Al contempo, inoltre, si rende la rettificazione anagrafica delle persone trans un percorso ad ostacoli. Anche la ricerca fatica a stare al passo con i tempi. Per quanto sia crescente l’interesse, infatti, molte sono di piccola scala e datate.
Ma il silenzio a riguardo, non significa che la genitorialità trans sia un fenomeno inesistente o silenzioso, Anzi! Nel corso di questo articolo si cercherà di affrontare il tema da una prospettiva queer e trans, basata sul principio di autodeterminazione delle soggettività e dei corpi. Non ci si propone di presentare nulla di straordinario, quanto più di compilare un insieme di riflessioni e spunti che arrivano spesso dallo stesso attivismo trans.
Persone trans e genitorialità: una questione possibile e variegata
Per quanto il tema della genitorialità trans sia poco affrontato, questo non significa che non esistano persone trans che ricoprono un ruolo genitoriale. Anzi, è un rapporto che si declina in maniera estremamente variegata. Come sempre non c’è un solo modo di essere figure genitoriali e non c’è un solo modo di essere famiglia.
D’altro canto, non si può non menzionare l’esistenza di un sistema che non solo non prevede spazio per forme “non tradizionali” di genitorialità ma che in passato le ha attivamente osteggiate. Ricordiamo come fino al 2011 sulla carta e al 2015 nella pratica non era possibile accedere alla rettifica dei documenti anagrafici se non dopo procedure che portavano alla sterilizzazione. Al contempo, forme di familiarità e genitorialità trans sono sempre esistite e continuano ad esistere, declinata come biologica, elettiva e in tutte le sfumature nel mezzo.
Si può essere genitori trans “biologici” di figl* nat* sia prima che dopo l’aver intrapreso percorsi di affermazione di genere. Oppure, si può assumere un ruolo genitoriale dei figl* dell* partner. O ancora, si può essere madri, padri, genitori di elezione. Una dinamica, questa, che si declina in particolare all’interno degli stessi gruppi trans dove i rapporti scelti si sovrappongono e si sostituisco a quelli di sangue.
L’oppressione del silenzio imposto
Questa bellissima varietà viene però spesso appiattita quando si esce dal mondo queer o, addirittura, dagli ambienti specificatamente trans. La stampa difficilmente affronta il tema e sicuramente si possono contare sulle dita di una mano le volte in cui è stato affrontato senza voyerismi o perbenismo. Per esempio, i corpi dei così definiti “seahorse dads” (“padri cavalluccio marino)”, ovvero persone transmaschili in gravidanza, diventano spesso oggetto di curiosità morbosa o sdegno. Invece, potrebbero essere celebrati come ogni altra persona.
In generale ogni discussione sulla genitorialità trans viene spesso accompagnata dallo stereotipo socialmente radicato che vede l’identità trans del genitore come causa di disagio o confusione ne* figl*, soprattutto se minori. Bene, le ricerche, anche se poche e principalmente provenienti dall’estero, hanno smentito questo fatto. Anzi, sarebbero principalmente i bambin* a riscontrare meno problemi nei confronti dell’identità trans della figura genitoriale. Piuttosto, il disagio quando presente è facilmente attribuibile a bullismo e discriminazioni. Non c’è quindi una disfunzione interna al nucleo famigliare. Infatti, è più un problema di incapacità della società di accettare la diversità.
D’altronde i bambini spesso ancora devono completamente e introiettare il binarismo di ruoli ed identità di genere prescritto dalla società, finendo quindi per accettare più facilmente l’identità della figura genitoriale rispetto a quando il coming out avviene nell’età adulta de* figli*. Di questo ha spesso parlato l’attivista Egon Botteghi, padre trans di due figli, che da oltre 10 anni si batte per i diritti di altri genitori trans.
Parti di genitori trans: diversità di voci
Lo stesso Botteghi che fa parte integrante del proprio attivismo il rendere pubblica la propria esperienza di genitore trans per aumentare la consapevolezza sul tema, sia come ricercatore ed educatore ma anche come performer. Tra le varie performance, si ritiene importante segnalare la sua partecipazione a Lingua madre della regista argentina Lola Arias e più recentemente Parti di madre trans*.
In generale, l’attivismo queer italiano sta iniziando a dare più spazio anche alle voci ed alle istanze trans sul tema della genitorialità, riconoscendo come la battaglia per il riconoscimento della varietà della famiglia debba necessariamente anche passare da quello. Nei media mainstream di finzione e intrattenimento la rappresentazione è purtroppo scarsa ed incompleta anche all’estero, soprattutto se si guarda a quella praticamente inesistente della genitorialità trans “biologica”. D’altra parte, si possono trovare esempi per quanto riguarda le famiglie elettive, prime fra tutte le “madri” della comunità queer newyorkese rappresentate in POSE.
Rimane quindi una questione scarsamente affrontata, seppur vitale. Se posso permettermi una nota personale in chiusura, da persona trans e giovane in Italia la vedo anche difficile. Difficile perchè presuppone che possa avere un futuro sufficientemente stabile che mi consenta anche solo di ipotizzare la questione nella pratica. Un futuro che non mi è garantito. Forse è proprio per questo che è vitale porsi questa questione, affrontare il tema e soprattutto ascoltare le nostre storie, per noi stess* ancora prima che per le nostre battaglie.
Ziggy Ghirelli
Fonti: Il fatto quotidiano; Intervista a Egon Botteghi