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L’omofobia di stato, il sostegno delle imprese: la Cina e Grindr

Cina LGBT

 

Babbo Natalo ha forse prodotto una piccola crepa nella muraglia cinese a proposito di diritti civili? In effetti qualcuno in Cina ha gridato al miracolo, vedendo il video che Alibaba (la potente piattaforma cinese di commercio elettronico, l’analogo di Amazon) ha diffuso di recente.

Si tratta di una pubblicità che mostra un giovane arrivare a casa dei genitori per festeggiare il capodanno accompagnato dal suo ragazzo. “Mamma, questo è Kevin”… Una rivoluzione nel panorama della società cinese nel quale la rappresentazione della omosessualità è rarissima (e molto osteggiata).

Numerosi attivisti gay cinesi hanno lodato la pubblicità per il buon gusto e la delicatezza”, riporta l’agenzia di stampa inglese Reuters che aggiunge: “Il capodanno cinese è il momento della riunione familiare e dell’inclusione e questa pubblicità è una espressione creativa per celebrare tale occasione”. Sul suo account twitter (tony_zy), Lovematters (molto seguito dalla comunità cinese) sfiora toni quasi ottimistici: “Il sostegno delle grandi imprese alle minoranze omosessuali è uno dei fattori importanti perché queste ultime possano guadagnare in visibilità e siano viste e riconosciute dal pubblico”.

Giudicate voi quanto sia fondato l’ottimismo. Ecco il video:

In effetti il capitalismo comunista sembrerebbe più avanti del governo cinese tant’è che alla Kunlun Tech non hanno avuto dubbi quando, nel 2016, si è prospettata l’occasione di diventare soci di maggioranza della più importante app per incontri gay. Nel frattempo però Grindr è finita più volte sotto accusa per violazione del regolamento della privacy dei suoi utenti. L’ultimo attacco (dopo quelli, pesantissimi, degli americani) è stato sferrato dal Norwegian Consumer Council nel cui Rapporto si legge che “l’app condivide dati utente dettagliati fra cui posizione, età, sesso, eventuale stato HIV e indirizzo Ip”. E non è un caso che l’avventura cinese nel panorama delle app gay sia destinata a chiudersi entro il 30 giugno 2020, data limite concordata con le autorità statunitensi che hanno fatto valere questioni di sicurezza nazionale per richiedere la “restituzione” della società. In effetti proprio in questi giorni si è scoperto che una compagnia americana e una startup italiana controllata anche dalla famiglia Berlusconi, stanno gareggiando a suon di assegni milionari per accaparrarsi il controllo della famosa app. L’italiana ha offerto ben 260 milioni di dollari. Staremo a vedere chi la spunterà.

Ma a parte il “sostegno” delle imprese, la Cina è un paese fortemente omofobo in cui i diritti civili e associativi sono da sempre compressi e fortemente combattuti. Sul fronte giuridico, nessun alcun passo avanti. È vero che per ben due volte i tribunali hanno condannato le terapie di conversione praticate senza il consenso degli interessati, ma sono casi rari mentre la polizia continua a reprimere ogni manifestazione della comunità LGBT+. Anche per quanto riguarda la semplice rappresentazione in Tv o su Internet. Nel 2015, dopo aver sospeso una serie web gay, il governo ha emanato un Regolamento generale per la produzione di contenuti per serie tv, nel quale si proibisce di mostrare “relazioni sessuali anormali o comportamenti sessuali, come la omosessualità”. Una proibizione ribadita nel 2017 e confermata l’anno successivo anche attraverso una sanzione esemplare: uno scrittore che aveva trattato contenuti omosessuali è stato condannato a 10 anni di prigione per fabbricare e vendere “materiale osceno” con fini di lucro. Allo stesso modo anche la libertà associativa è sotto scacco: il governo si riserva la facoltà di approvare le associazioni specie in tema di “interesse sociale”, di “etica” e di “moralità”. Quante credete siano le realtà associative LGBT+ in Cina?

 

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