Il mondo che stiamo costruendo mostra le proprie contraddizioni: Lisa, ragazza transgender, dimostra che in Italia puoi lavorare sì, ma solo se sei cis. In un periodo storico in cui i datori di lavoro si lamentano della mancanza di personale, una ragazza (d’esperienza) come Lisa non trova ugualmente spazio.
Quanto di più grave accade, con contratti di lavoro che saltano quando, invece che mostrarsi in “vesti maschili”, Lisa si presenta truccata davanti ai recruiter. Sia chiaro, gli stessi recruiter che in precedenza assicurano l’assunzione sulla base del cv della ragazza. Quest’ultima si sente quindi forzata a indicare il proprio sesso tra i dati del curriculum, cosa peraltro non obbligatoria e che, inoltre, non dovrebbe fare alcuna differenza. Ma no, la realtà di paese non ha spazio per permettere a tutti di vivere la propria libertà, è troppo più importante preservare la barricata dei propri assurdi pregiudizi.
Inimmaginabili lo sforzo, l’animo e il coraggio che ci vogliono per assecondare la propria natura, quando si finisce con l’essere esposti al branco. Di questo parla la storia di Lisa. La ragazza ha capito a 19 anni di essere attratta dagli uomini e poi a 35 ha trovato la forza di iniziare la propria transizione. Da quel momento anche persone che la conoscevano da tempo le hanno riservato parole d’odio immotivate, come se essere se stessi fosse un crimine.
Lisa, ragazza trans che non trova lavoro. Ecco la realtà in Italia: puoi lavorare si, ma solo se sei etero
Siete mai stati considerati degni di un lavoro in base al colore dei vostri occhi? O al vostro gusto di gelato preferito? La risposta è no, semplicemente perché putativamente nessuno associa queste espressioni di libertà personale alla professionalità. Viene quindi da chiedersi perché debba esserci una differenza così profonda tra caratteristiche quali la sessualità e l’identità di genere e ogni altra caratteristica fisica.
La risposta è chiara e nemmeno troppo sorprendente: viviamo in una società transfobica (e non solo), in cui puoi lavorare sì, ma solo se sei cis. Siamo radicalmente abituati a pensare che ognuno si rispecchi per forza nel proprio sesso biologico, tanto da non ricordarci che questo non è scontato. Ma invece dell’accoglienza, le persone che vivono questa naturale scoperta di se stesse vengono additate e goffamente marginalizzate.
“Mi sono chiesta: perché devo tenere nascosti i momenti migliori della mia vita? Così ho iniziato pian piano a espormi sempre un po’ di più anche in paese, ma solo quando ho perso il lavoro: prima avevo paura che avrei potuto essere licenziata.” Ancora una volta, ci manifestiamo come una società profondamente impreparata all’amore per sé stessi, in quanto ossessionati dal mantenimento di una ridicola facciata.
“I peggiori sono gli adulti e gli anziani, non capiscono, e io li sento i loro sguardi critici, le malpensate.” In una società cosiddetta civile (ma che civile non è), questa totale assenza di immedesimazione deve essere considerata per ciò che è: una volgarità. Ghettizzare una minoranza? “Avanguardia pura”!
Fonte: today.it