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L’Europa contro l’omofobia

Diritti LGBT+ in Europa

Un quadro con luci e ombre, quello relativo alla lotta contro l’omofobia in Europa. L’Italia – ça va sans dire – fra le maglie nere… e nasce spontanea una domanda: a quando nel Belpaese una vera legge contro l’omofobia e la transfobia?

Proviamo a capirci qualcosa di più insieme.

Un quadro variegato

L’Unione Europea presenta un profilo non omogeneo nei confronti della lotta contro l’omotransfobia. Alcuni paesi hanno già affrontato questo tema, altri invece latitano; né esiste una comune politica europea. Certo c’è la coscienza di doversi impegnare di più. Non è un caso che, nel 2017, la Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza ha lanciato l’allarme segnalando che “l’omofobia e la transfobia sono ancora presenti in Europa e che Internet e le reti sociali stanno contribuendo all’aumento dell’ostilità contro la comunità LGBT+”. Ma rispetto al passato le cose sono cambiate, e certamente ha ragione il sociologo francese Daniel Borrillo (consigliere dell’Ue per le politiche pubbliche di uguaglianza) quando sostiene che “nell’Unione europea esiste uno standard normativo ormai condiviso, e solido”.

Paesi all’avanguardia

In effetti, se guardiamo le legislazioni nazionali vediamo che tra di loro sono estremamente differenti. Anche tenendo conto della difficoltà a delineare in modo preciso i crimini e i discorsi d’odio, i Paesi europei si sono mossi in maniera diversa. Alcuni ponendosi decisamente all’avanguardia: è il caso dell’Olanda (che già nel 1994 approvò una legge che proibiva qualsiasi atto discriminatorio diretto o indiretto) e della Svezia (il cui atto contro la discriminazione risale al 2003, aggiornato poi nel 2009 includendovi la discriminazione legata a orientamento sessuale). In questo gruppo, possiamo collocare – con legislazioni che differiscono un po’ – l’Islanda (pioniera nel 1998 con l’approvazione di un articolo del Codice penale, il 180, che proibisce di discriminare nella fornitura di beni e servizi; provvedimento poi aggiornato nel 2006 e 2018), l’Irlanda (che ha legiferato nel 2000), la Finlandia (che nel 2004 ha deciso che le vittime possano essere risarcite dallo Stato) e il Lussemburgo (la cui legge sull’uguaglianza risale al 2006).

Standard piuttosto consolidato

Dobbiamo riconoscere che tranne alcuni Paesi (e l’Italia è fra questi), quasi tutti hanno approvato leggi che, in varia misura, tutelano dalla discriminazione le componenti della società ritenute più deboli: la Germania (che ha proibito la discriminazione nel 2006) il Belgio (che è tornata su questo tema nel 2007), Malta (che nel 2012 ha ampliato la protezione offerta sino ad allora dalla Costituzione) la Slovenia (la cui legge risale al 2016). Ovviamente questo non vuol dire che gli atti omofobici e transfobici siano cessati o che siano effettivamente perseguiti. Significa solo che in quasi tutti i paesi europei il legislatore si è posto il (doveroso) problema di tutelare ciascuna parte della società. E certo sarebbe interessante vedere quanti reati connessi all’omofobia si verificano in Ungheria, in Georgia e in Serbia, nazioni che in tempi differenti hanno legiferato su questo tema, ma di questo magari ne parleremo in seguito.

Non esistono ricette

Ciascun paese poi ha adottato l’iter più appropriato. Ad esempio la Spagna (fra i primi a introdurre il matrimonio egualitario nel 2005) non ha, a tutt’oggi una legislazione nazionale ma, essendo strutturata in comunità autonome, ha optato verso leggi locali contro la discriminazione (e la Catalogna è stata apripista nel 2014). Stesso discorso potremmo fare per le compagini politiche che hanno approvato le leggi contro l’omofobia. Non esistono, in Europa, partiti filo o anti-comunità LGBT+. Il caso inglese è forse il più illuminante. È stato il governo conservatore presieduto da David Cameron a introdurre prima The Equality Act e poi il matrimonio per tutti (rispettivamente nel 2010 e nel 2014). Nonostante alcune difficoltà, il partito dei Tory non si è spaccato e in entrambi i casi ha votato a favore.

Molte cose devono essere ancora affrontate, se è vero che, in Gran Bretagna, i crimini d’odio sono saliti dal numero di 2016 nel 2015 ai 3111 nel 2019 (sempre al netto del fatto che molte vittime non denunciano). Ma come sempre la realtà è sempre più complessa: secondo un sondaggio governativo (realizzato nel 2017), gay e lesbiche che vivono in UK si sentono abbastanza soddisfatti della loro vita, attestandosi sul livello 6,9 che non è troppo lontano da quello della popolazione in generale (7.7). Va comunque detto che la comunità trans denuncia un sentimento assai meno soddisfacente (attestandosi a livello 5.5).

E l’Italia dove sta?

Il Belpaese, come sappiamo, annaspa fra veti funzionali e ipocrite difese alla libertà di espressione, progetti di legge poco efficaci e una informazione estremamente disattenta. L’Italia è uno dei pochi Paesi nel contesto occidentale che non include orientamento sessuale e identità di genere tra le aggravanti specifiche nelle leggi sui crimini d’odio e hate speech, e che non ha una strategia nazionale per contrastare l’odio e la discriminazione nei confronti delle persone LGBT+.

Fino a quando?

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