Lo sai che i papaveri non gridano
La canzone di Nilla Pizzi non diceva proprio così, ma i papaveri di Eugen Jebeleanu, regista del film Camp de Maci (Poppy Field) presentato al Torino Film Festival 2020, urlano uno contro l’altro per imporre la propria verità.
Ci troviamo, di nuovo, davanti a una trama in cui emergono l’intolleranza, la disuguaglianza e la vulnerabilità. Ma questa volta a parlare è l’Europa dell’est, l’antagonista principale dei diritti contro l’omofobia.
Cristi (Conrad Mericoffer) è un poliziotto di Bucarest che cerca di tenere nascosta la propria vita privata con il suo ragazzo francese e mussulmano Haidi. Ma a tradirlo sarà quando lui e la sua squadra sono chiamati a domare una proiezione a tematica LGBT interrotta da un gruppo di radicali e conservatori per difendere la parola di Dio.
Il miglior attore del Torino Film Festival 2020
Si è conclusa anche questa faticosa rassegna cinematografica del TFF 2020.
Ben accolta dal pubblico online per questa nuova edizione in risposta alla pandemia.
La dicotomia che appare è netta fin da subito in tutta la pellicola. Cristi e Haidi parlano due lingue differenti, come il pubblico in sala e il gruppo manifestante, non si comprendono tra di loro, quasi costringendo lo spettatore a desiderare la conclusione del film. Non per cattiveria, il film è mirabile, ma le urla e gli insulti sono irritanti. Ma anche il detto e non detto, che non può non ricordare l’enfant prodige canadese Xavier Dolan “Juste la fin du monde”. Tutti forse conoscono la vita privata del poliziotto, sanno che vorrebbe schierarsi dalla parte di chi desidererebbe vedere un film in santa pace. Infatti, egli, si siede sulla poltrona, ma da solo, in una sala vuota (immagine che colpisce il segno in questo 2020) per fare e guardare questo meta-spettacolo, nutrito dagli aneddoti omofobi dei colleghi e dai primi piani.
L’incoerenza e la paura del protagonista svelano un uomo che finge virilità e sessismo.
“L’ho trovato che si masturbava.”
Rammentano un’elevata intensità drammatica intenta a mostrare l’interiorità del protagonista, un’interpretazione quasi teatrale ma senza gesti.
Quell’ansia vitale recitata egregiamente porta Conrad Mericoffer a vincere il titolo di miglior attore di questo Torino Film Festival 2020.
La prima parte, più breve, è l’unica in cui vedremo la tenerezza tra i due fidanzati, un amore che dimenticheremo presto, non appena comincia la seconda parte, una secondo tempo ricco di dialoghi e violenze, in quella sala con le poltrone rosse, a ricordare tanti papaveri, simbolo del dubbio, con un cuore nero, come la divisa di Cristi.
Una fotografia sincera, pulita e con colori freddi per l’incipit. Per raccontare questa storia, basata su un fatto realmente accaduto, c’è bisogno di realismo e non di filtri o impalcature.
La regia è essenziale, poche le immagini e tante le parole, racchiuse in long take, che ricordano il “Carnage” di Roman Polanski. Tutto custodito in un ritmo incalzante e fluido.
Quest’opera cinematografica non è senz’altro la prima a trattare queste tematiche, risulta ridondante in una manifestazione come quella di Torino, ma indispensabile agli occhi di chi vive in paesi dove fino agli anni 90 primeggiava ancora una dittatura. Non emerge una soluzione ma una riflessione, senza morale e retorica, è la platea che deve agire. Quindi c’è ancora bisogno di girare questa tipologia di film nel 2020? Di sottolineare questa tematica? La risposta la troviamo nella cronaca di oggi.
Quel “Baci.” detto dal suo collega sarà l’ultima parola pronunciata prima dei titoli di coda, ma anche la risposta a tante domande.
Davide Figlia