Le recenti decisioni della FINA (Federazione internazionale di nuoto) mostrano deludenti carenze in tema di sport e inclusività: la strada verso l’inclusione di atlet* trans* è ancora lunga. Proprio nel bel mezzo dei mondiali di nuoto è stata infatti adottata una nuova politica sull’inclusione di genere.
La nuova politica presenta sin da subito una disparità nell’ammissibilità di atleti FTM e MTF. Per gli atleti FTM si richiede solo una esenzione a scopo terapeutico di sostanze comprendenti testosterone. Quanto alle atlete MTF, saranno ammesse alle competizioni ufficiali solo le atlete “che abbiano soppresso la pubertà maschile che inizia al secondo stadio di Tanner o prima dei 12 anni, se successiva, e che abbiano mantenuto continuativamente il proprio livello di testosterone nel siero (o plasma) al di sotto di 2.5 nmol/L”.
Il divieto di partecipazione risulta quasi totale, vista la percentuale di persone transgender che inizia e/o completa il percorso di transizione così presto. La FINA sembra stia anche lavorando a una nuova categoria ad hoc, “aperta” ad atlet* trans*. Questa può però risultare come un confine, un limite entro cui gareggiare tra soli atlet* trans*.
Il presidente della Federazione internazionale Husain Al-Musallam ha dichiarato “Dobbiamo proteggere i diritti dei nostri atleti a competere, ma dobbiamo anche fare in modo che i nostri eventi siano all’insegna dell’equità, in particolar modo nelle categorie femminili”. Il CIO (Comitato Internazionale Olimpico) lavora da circa venti anni – non proprio ciò che definiremmo rapidamente – per arrivare a una equa inclusività. L’obiettivo è l’approvazione di regole che vietino la misurazione dei livelli di testosterone e i trattamenti invasivi per le atlete transgender.
L’intreccio di sport e inclusione: la strada verso l’inclusione e la storia di Lia Thomas.
Ciò che si sta verificando nel nuoto è a tutti gli effetti un primato storico. Nessun’altra federazione ha ancora varato regolamenti su atlet* trans*. Probabilmente sprone importante è stata la storia di Lia Thomas. La nuotatrice – atleta dell’Università della Pennsylvania – ha cominciato a gareggiare con la squadra femminile dopo circa due anni di trattamento ormonale, perdendo massa muscolare.
Lia Thomas ha gareggiato sempre perfettamente in linea con le regole del protocollo NCAA (circuito universitario USA). Tale regolamento prevede che dopo un anno di soppressione del testosterone l’atleta transgender possa gareggiare con le donne biologiche.
Il caso di Caster Semenya ha poi fatto giurisprudenza in tema di sport e inclusività: la strada verso l’inclusione di atlet* trans* passa anche da atlete non transgender. La IAAF (Associazione internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera) aveva imposto alla campionessa sudafricana una cura per ridurre il livello di testosterone. La stessa Semenya aveva portato questa storia in aula, facendo ricorso e creando di fatto un caso.
Il dibattito sulla questione è tutt’oggi aperto, ma come sempre ne fanno le spese l’inclusione e l’equità di cui troppi si riempiono la bocca. Lo sport è in verità qualcosa di più del corredo biologico di ognuno ed è anzi da sempre culla di accoglienza. È forse proprio dal principio di inclusione che lo sport insegna che bisognerebbe ripartire. Regolamentare va bene, a patto che sia fatto con reale equità.
Fonte: VanityFair