Manca meno di un mese all’inizio del 2023 e, come tutti gli anni, arriva sempre il momento dei buoni propositi per l’anno nuovo. Ecco quindi una lista di buoni propositi LGBT+ per un 2023 all’insegna dell’inclusività.
1. Fare i conti con la propria omofobia/transfobia
Che piaccia o no, siamo cresciuti in un mondo che ci ha insegnato che essere gay, lesbica, bisessuale, trans (e qualsiasi altro orientamento o identità che non sia etero e cis) sia sbagliato. Anni e anni a sentire persone che usano la parola “gay” ad esempio come un insulto. Anni e anni a sentire delle “colorite” battute sulle persone transgender. Non possiamo cambiare come ci hanno cresciuto e che cosa ci hanno detto quando eravamo piccoli. Una certa dose di omofobia in ognuno di noi esiste, proprio per tutto quello che ci hanno fatto interiorizzare…. e bisogna farci i conti. Riconoscerla significa anche poterla combattere, far finta di niente e negare l’evidenza invece aiuta solo la nostra omofobia e transfobia a rimanere viva.
2. Accettare il fatto che la realtà sia soggettiva
“Non è una priorità”. “Non è importante”. “Ma sul serio pensi a questo? Con tutti i problemi che ci sono”. Sono spesso frasi che le persone LGBT+ si sono sentite dire quando hanno cercato di portare all’attenzione degli altri una discriminazione subita o delle necessità. Dobbiamo accettare il fatto che le persone non vivano tutte la stessa vita e quello che per una può essere “poco importante”, per l’altra può essere devastante.
Questo si applica anche e soprattutto quando si parla di diritti delle minoranze. Per forza per te “non è importante” affrontare quel determinato tema (non lo vivi!), ma questo non vuol dire che per altri sia poco importante. Occorre smettere di pensare che il proprio punto di vista sia necessariamente una visione generale e oggettiva sulla realtà che ci circonda. In realtà è solo una visione estremamente parziale.
3. Evitare le gare a chi è più discriminato nella comunità LGBT+
Spesso, ad esempio, si sente dire che le persone asessuali in fin dei conti non sono come le altre della comunità, perché non vengono picchiate per strada per il fatto di essere asessuali. Premesso che subire una discriminazione (e anche della violenza) per la propria identità non sia per forza riconducibile all’essere picchiati, occorre precisare un aspetto molto importante: non è una gara. Occorre piuttosto riconoscere anche le altre discriminazioni nella loro specificità, senza dover necessariamente decidere chi vincerà il titolo di “identità più discriminata”.
4. Andare al Pride, anche se non fai parte della comunità LGBT+
Spesso molte persone pensano ai Pride come degli eventi esclusivi per la comunità LGBT+. No, al Pride ci può andare chiunque, anche chi non fa parte della comunità ma la sostiene. Nel 2023 avrà ancora senso? Sì, per diversi motivi. Innanzitutto si fa per le persone che non possono farlo, perché vivono in Paesi dove l’omosessualità è illegale ad esempio. Si fa per ricordare quella che è la storia della comunità LGBT+. Si fa per dare visibilità, per ricordare al mondo che la comunità LGBT+ non vuole rimanere nascosta, ma esistere alla luce del sole. Andare al Pride è quindi fondamentale, anche solo per sostenere la causa.
5. Ricordarsi che la comunità LGBT+ è formata da persone
Spesso si sente parlare della comunità LGBT+ come un insieme di persone che rispondo tutte ad un cervello unico. Nella narrazione comune sembra quasi che siano tutte uguali e la pensino tutte allo stesso modo. Viene intervistata una persona della comunità e quello che dice viene spacciato automaticamente valido per chiunque. Non è così! La comunità LGBT+ è formata da persone. In quanto tali, ognuna avrà il proprio modo di pensare, il proprio punto di vista, i propri interessi e la propria vita. Considerarle come un tutt’uno significa solo appiattirle e disumanizzarle. Vale per qualsiasi gruppo di persone, a maggior ragione anche in questo caso.