Sono passati un po’ di giorni da quando Giulia Cecchettin è stata trovata morta. La giovane è stata uccisa dal fidanzato Filippo Turetta. Anzi, a quanto pare sarebbe stato stato già ex fidanzato durante la vicenda. L’ennesimo femminicidio, sono 106 nel momento in cui scriviamo questo articolo. Una parola, femminicidio, che sembra far paura a molte persone. Come se non utilizzando questo termine della lingua italiana si nascondesse il problema. Perché sembra sempre più evidente che un problema effettivamente ci sia.
Il problema si chiama “patriarcato” o, se proprio vi dà fastidio questa parola, possiamo utilizzarne un’altra: convinzione culturale. La convinzione culturale che la donna sia inferiore, in quanto tale, che non debba essere tratta come gli altri e così via. Chiamatelo come vi pare, il problema sembra essere proprio questo. Un uomo che uccide una donna può essere definito come un pazzo, uno squilibrato, o semplicemente un assassino. Non c’è dubbio. Ciò non toglie che la voglia di compiere determinate atrocità verso le donne deriva da una convinzione culturale che, purtroppo, si è protratta per secoli verso le donne (e non solo). Un retaggio, negativo, che nel corso dei secoli si è adattato e lo ha fatto anche nella società odierna.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ci può far analizzare tante altre cose
Il patriarcato e l’idea che la donna sia inferiore in quanto tale non è scomparsa. Probabilmente sarà così anche in altri Paesi. Noi, però, di quello che succede all’estero ci interessa il giusto. Viviamo in Italia e quindi ci interessa analizzare quello che succede qua. La convinzione culturale che la donna debba essere trattata come una “pezza da piedi” ha semplicemente cambiato forma. Il principio ideologico è rimasto lo stesso, è rimasto quello di centinaia di anni fa. Si è, semplicemente, adattato benissimo con la società contemporanea e che viviamo oggi.
Alcuni esempi di come il patriarcato si è adattato alla società odierna
Per spiegare in modo concreto quello che stiamo scrivendo ci vengono in aiuto, purtroppo perché nel 2024 non dovrebbe essere così, alcuni esempi quotidiani e reali. Una volta, ad esempio, le donne non potevano e non dovevano lavorare. Dovevano stare a casa a guardare i figli, a pensare alla casa e a accudire il marito che tornava da lavoro (o da qualche scappatella). Come si è adattato il patriarcato in tal senso? Semplice: adesso le donne possono lavorare ma a parità di grado e mansione guadagnano meno di un collega uomo. Ecco una prova di come il patriarcato ha cambiato forma.
Ce ne sono altre di prove, o di esempi se preferite, che ci possono aiutare a spiegare quanto stiamo analizzando. Al colloquio a una donna viene chiesto se vuole figli e, molto spesso, se dice sì o si presenta a un colloquio in stato interessante viene scartata. A un uomo viene mai fatta questa domanda? No. La donna un secolo fa non si poteva mettere una gonna o vestirsi in modo un po’ più appariscente. Ora sì, ma se viene stuprata è colpa sua e non dello stupratore. Se una donna si ubriaca rischia di essere violentata, mentre se un uomo si ubriaca il rischio che sia violentato è pari a zero. Perché? Perché c’è una convinzione culturale in tal senso. Una volta una donna non poteva interrompere la gravidanza, ora lo può fare ma si sta in tutti i modi cercando di ostacolare questo suo sacrosanto diritto. Una donna può fare ingegneria, ma per alcuni esponenti di questa destra e persone di associazioni vicine a questa destra è meglio se fanno ostetricia.
Partire dalle parole per fermare odio e violenza
Come vedete le donne potrebbero fare tutto, come gli uomini. Solo che quando devono fare qualcosa loro c’è sempre un “ma” che, in questo caso, viene utilizzato come congiunzione avversativa e cioè che annulla quello che viene detto in precedenza. Per capirci ancora meglio: puoi metterti la gonna, ma se ti violentano te la sei cercata = non metterti la gonna perché se ti violentano la colpa è tua.
Filippo Turetta ha agito da solo nel gesto in sé di uccidere Giulia Cecchettin, è vero. Tutte le persone che ogni giorno usano parole d’odio contro le donne, gli LGBT+ o qualsiasi altra persona sono in qualche modo complici della violenza fisica. Chi asseconda pensieri pieni di odio, di discriminazioni e misogini come possono essere quelli di Vannacci si rende complice. Si parte sempre dalle parole per poi arrivare alle mani o all’omicidio/femminicidio. Succede sempre così, anche nelle risse: prima ci si insulta e poi si passa alle mani. E allora ripartiamo dalle parole, dall’educazione, se si vuole fermare davvero questo tsunami d’odio e intolleranza.
Fonte immagine copertina: Il Fatto quotidiano